Archivi categoria: sviluppo

“Fisco, saltano le tre aliquote” (Rosaria Talarico).

redazione
Le tassazione sulla sui carburanti dovrebbe essere messo in un fondo per una possibile(cioè non certo) sovvenzione delle fonti rinnovabili chiamata carbon tax cioè antinquinamento (di per se mi appare poco credibile visto che il carburante serve per il trasporto e il carburante continua ad aumentare, l’impressione e che ci siano dietro delle speculazione dell’indistria automobilistica ) ricordo che le fonti rinnovabili erano in forte ascesa al punto che la rendità in kw col carburante era pari alla stessa rendita in kw al prezzo prodotta coo l’eolico finchè nel marzo dell’anno scorso il governo Berlusconi per boicottare il referendum aveva bloccato le sovvenzioni a chi aveva investito in impianti eolici facendo un disastro economico facendo perdere posti di lavoro , la tassazione sulle rendite che peraltro per quando riguarda i bot in questo momento sono quasi tutti comprati dalle banche, la maggior equità sulla tassazione delle imprese staremo a vedere.

“Fisco, saltano le tre aliquote” (Rosaria Talarico)..

LA MERKEL VUOLE UN ’EUROPA MODELLO MONTI nche per la Cancelliera è arrivato il momento di pensare alla crescitaI


Fatto Quotidiano 14/03/2012di Stefano Feltri
La visita di Angela Merkel a Roma era saltata due volte, alla fine è arrivata nel momento più oppor-
tuno per Mario Monti, proprio quando il suo governo sembra un po’ in affanno. Tre volte sotto alla Camera, niente di decisivo ma sono segnali, costretto a rinunciare alla riforma della Rai, arrivato allo scontro con i sindacati sulla riforma del mercato del Lavoro (tanto che lunedì all’incontro decisivo Monti gestirà la trattativa in prima persona). E allora ecco la Cancelliera Merkel che arriva a Roma e in conferenza stampa subito esprime “ammirazione per le coraggiose azioni del governo Monti”. Ma gli elogi al cambio di fase ormai sono abituali e, come ha scritto l’Economist, “non sono tutti da attribuire a meriti innati di Monti”, ma anche al fatto che i nostri partner aspettavano con ansia di avere un interlocutore diverso da Silvio Berlusconi. Questa volta c’è di più, per chi decodifica il gergo europeo: quella di ieri è una vittoria montiana su tutta la linea. Certo, la Merkel si è concessa l’ennesimo riferimento ai “compiti a casa” che tutti
devono fare “per eliminare gli squilibr i”. Ma per il resto è una conversione alla linea della crescita di cui Monti è stato il grande sostenitore in questi mesi, d’intesa con il presidente americano Barack Obama.
“AL CENTRO del vertice europeo di giugno ci sarà la crescita, servono misure concrete e specifiche per contrastare la disoccupazione”, dice
Il premier cercava da mesi questo incontro a Roma per ottenere da Berlino meno rigore sulla crisi
il cancelliere. Monti sorride soddisfatto e annuncia per l’estate un vertice a due a Roma, tra Italia e Germania. “Con la Francia chiusa per elezioni devono dimostrare che l’E u ro p a ha un motore italo-tedesco”, commenta Sandro Gozi, parla-
mentare del Pd che ha lavorato a lungo a Bruxelles. La Merkel usa anche le parole chiave che certificano l’omaggio a Monti, parla del problema di essere “più competitivi con i nostri concor renti”, concede un accenno al “mercato unico”, da sempre il pallino di Monti quando si parla di politiche europee. Monti è soddisfatto, nella minuscola stanza di Palazzo Chigi dove da qualche tempo il governo ammassa giornalisti e cameramen per le conferenze stampa, dopo aver abbandonato quella tradizionale del piano terra. Il presidente del Consiglio negli ultimi mesi ha lavorato molto per ottenere il risultato diplomatico di ieri: prima la visita Londra per recuperare David Cameron, rimasto isolato per aver messo il veto sul fiscal compact, il trattato internazionale sui vincoli di bilancio imposto dalla Germania. Poi la visita a Washington e infine la “lettera dei dodici”, firmata dai capi di Stato e di governo che hanno costituito il fronte anti-Merkel per la crescita e contro gli eccessi di rigore. Il culmine ieri, con la Merkel che scandisce: “Noi vogliamo migliorare la capacità competitiva e la crescita dell’E u ro p a ”. Vittoria completa? Sicuramen-te dal lato della diplomazia, con Monti omaggiato dall’offerta del lussemburghese Jean-Claude Juncker di lasciargli la presidenza dell’e u ro gruppo, il coordinamento dei ministri economici della zona
D i e t ro il successo diplomatico restano tensioni concrete: sulla Bce, la Grecia e i trattati
euro (“ogni riferimento alla mia persona lo prendo come segno di rispetto per l’Italia e il suo governo, ma le pare che un presidente del Consiglio italiano possa assumere altri compiti?”, risponde a un giornalista). Però poi ci sono i temi concreti: Angela Merkel ribadisce che entro giugno devono essere approvati assieme i trattati internazionali del fiscal compact (i vincoli di bilancio imposti da Berlino) e quello che istituisce il fondo Salva Sta-ti Esm (che Berlino ha subito). Bastone e carota. Ma sulle risorse a disposizione dell’Esm non si tratta, restano 500 miliardi, nonostante da mesi Monti chieda di aumentarle. Con meno di 1000 miliardi, lo ha detto anche il Fondo monetario, la rete di sicurezza attorno a Spagna, Italia e Portogallo ha troppi buchi. E a livello della Bce è in corso uno scontro violento: il capo della Bundesbank, la banca centrale tedesca, Jens Weidmann è andato all’attacco di Mario Draghi perché con i suoi prestiti di 1.000 miliardi alle banche sta caricando di troppi rischi l’istituto di Francoforte. Draghi si è difeso ieri da Parigi: nella zona euro si vedono “chiari segnali di stabilizzazione” e “non si stanno materializzando rischi di inflazione”. Ma la tensione con Berlino resta. Così come sulla Grecia: il secondo piano di aiuti, da 130 miliardi, ha avuto il via libera dalla Commissione Ue. Ma la Germania sta già facendo resistenza a un terzo pacchetto di aiuti che sembra inevitabile. Monti ha pochi mesi per tradurre in risultati concreti su questi dossier il successo diplomatico di ieri.

Le balle di Monti sul TAV (6663 aree a rischio idreologico in Italia CAPOFILA IL PIEMONTE 1039) la manutenzione di queste aree crerebbe 47000 posti di lavoro

il 3 marzo scorso Mario Monti, mostrando il piglio deciso e il petto gonfio, ha ribadito la necessità del TAV in Val di Susa “con piena convinzione”. “Dopo un esame condotto con spirito aperto”, infatti, il super professore ha detto che l’opera darà “benefici economici rilevanti” dal momento che “genera lavoro e occupazione” e che può invertire la pericolosa tendenza in atto dell’Italia di “staccarsi dall’Europa” a causa di una “decrescente competitività” e di “una difficoltà sempre maggiore di trovare spazio nell’economia internazionale e di creare buoni posti di lavoro per i giovani”. Poi, col tono didascalico e amorevole di Papà Castoro, ha concluso: “ Vogliamo noi lasciare andare dolcemente alla deriva, staccandosi dall’Europa, questa nostra penisola, rendendo così sempre più difficile per l’economia italiana risalire, essere competitiva […], consentire un maggiore benessere sociale ed economico…?”.

Monti vede insomma il TAV come un’opera imprescindibile per garantire all’Italia di restare agganciata all’Europa, e di essere competitiva. Ma di quale competitività si sta parlando? E di quale benessere? Se competizione deve esserci tra i vari Stati, allora bisogna riconoscere che questa si gioca su più fronti. E uno dei più importanti parametri che testimoniano “il benessere”, se non il più importante in assoluto, riguarda senza dubbio la sicurezza dell’ambiente in cui si vive. Tuttavia, nel dossier di Legambiente “ Ecosistema rischio 2011 ”, a pagina 5, bene evidenziato in grassetto, si legge: “ per valutare quanto sia elevata l’esposizione al rischio idrogeologico nel nostro Paese si può notare come, secondo le nostre stime, oltre 5 milioni di cittadini si trovino ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni ”. E per dare un’idea un po’ più concreta del rischio, ricordiamo al professor Monti che, senza considerare i terremoti, ogni anno muoiono in media 7 persone al mese per frane o alluvioni. Anche questa è scarsa competitività.

Secondo il report redatto dal Ministero dell’Ambiente nel 2008, poi, sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. E la regione che ha il numero più alto di comuni a rischio (1049) è proprio il Piemonte, cioè quella che è chiamata ad ospitare un’opera sulle cui pericolose conseguenze dal punto di vista ecologico si sono espressi 360 docenti e ricercatori.

Regione
Comuni a rischio
% Comuni a rischio

Calabria 409 100%
Provincia Autonoma di Trento 222 100%
Molise 136 100%
Basilicata 131 100%
Umbria 92 100%
Valle d’Aosta 74 100%
Marche* 239 99%
Liguria 232 99%
Lazio 372 98%
Toscana 280 98%
Piemonte 1.049 87%
Abruzzo 294 96%
Emilia Romagna* 313 95%
Campania 504 92%
Friuli Venezia Giulia 201 92%
Sardegna 306 81%
Puglia 200 78%
Sicilia 277 71%
Lombardia 929 60%
Provincia Autonoma di Bolzano 46 59%
Veneto 327 56%
TOTALE 6.633 82%

Come se non bastasse, stando agli studi di Legambiente (che ha analizzato un campione di 221 amministrazioni comunali), il Piemonte non brilla neppure per quanto riguarda la messa in sicurezza del territorio: il 66% dei comuni a rischio ha svolto negli ultimi anni un lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico giudicato “negativo”, cioè scarso o insufficiente.Anche questa è scarsa competitività.

Ora, Monti ha detto che non esistono forti criticità dal punto di vista ambientale connesse al TAV, e che dunque l’opera è ecologicamente compatibile. Sarebbe interessante sapere chi gli ha fornito i dati, dal momento che le stesse società che hanno presentato il progetto hanno previsto che le perforazioni per la costruzione del tunnel provocheranno una perdita d’acqua che arriverà a 1040 litri al secondo, cioè 90mila metri cubi al giorno. E questo provocherà seri problemi alle falde acquifere – con conseguente prosciugamento dei fiumi e dei corsi d’acqua – e quindi all’agricoltura. I lavori dell’alta velocità tra Firenze e Bologna, per esempio, hanno fatto sì che nel Mugello si seccassero 57 km di fiumi, col prosciugamento di 37 sorgenti e 5 acquedotti. E nel Mugello si calcolava una perdita d’acqua pari a “soli” 500 litri al secondo (meno della metà che in Val di Susa). Fare il TAV tra Torino e Lione servirebbe – a quanto dice Monti – a rendere più rapidi i trasporti e i commerci. Ma per realizzare questo obiettivo distruggiamo i nostri fiumi e mettiamo in ginocchio l’agricoltura. Perdiamo cioè una delle fonti di maggiore produttività del nostro paese. Quindi, per favorire il trasporto delle merci, rendiamo più difficile la produzione delle merci stesse. E questa è competitività?

Veniamo adesso all’altro vantaggio rivendicato più volte da Monti in conferenza stampa: la creazione di nuovi posti di lavoro. L’idea che questo possa avvenire soltanto costruendo, cementificando e producendo nuove opere è ormai obsoleta. Appartiene a un modello di sviluppo folle quanto fallimentare, e questa crisi avrebbe dovuto dimostrarlo. Il professor Monti dovrebbe rendersi conto che si può creare occupazione anche senza perforare montagne, confiscare terreni, divorare boschi e asfaltare riserve naturali. La manutenzione e la messa in sicurezza del territorio non vanno più considerate soltanto come un utopico e inutile passatempo di qualche ecologista figlio dei fiori: può anche essere un business, cioè un’occasione per dare lavoro e far crescere un Paese. Secondo l’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche e Consorzi) “ ogni milione di euro investito in manutenzione del territorio genera 7 nuovi posti di lavoro. Da un facile calcolo, il Piano per la Riduzione del Rischio Idrogeologico, composto perlopiù da progetti immediatamente cantierabili avendo già espletato i necessari iter burocratici, ne creerebbe oltre 47.000”. Anche questa è competitività.

Alla luce di tutto ciò, mi sembra importante ribadire una questione. Quando ministri e giornalisti dicono che quella dei NO TAV è una lotta che esula dalle problematiche della Val di Susa e che è ideologicamente connotata, dicono una verità. Sono convinto, infatti, che quello che sta avvenendo in Piemonte sia il frutto di un modello di sviluppo che è dannoso per tutto il Paese. E sono altrettanto convinto che l’ideologia del cemento e della crescita del PIL, imperante da decenni, vada ormai gettata nel cestino dei rifiuti non riciclabili. Un altro modello di vita e di società è possibile. E anche un altro modello di economia. Cioè un’economia che sia sottoposta alle esigenze biologiche, sanitarie ed esistenziali delle persone e che non faccia scempio dell’ambiente in cui dobbiamo vivere. E’ questa la pericolosa ideologia dei NO TAV, talmente inaccettabile da provocare la schifiltosa repulsione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano?

Valerio Valentini

Cultura? no grazie, siamo italiani


dalla community dell’Unità 03 marzo 2012
I trionfo del film francese «The Artist» ai premi Oscar, ha focalizzato l’attenzione dei media sull’industria cinematografica e culturale del nostro vicino d’oltralpe.
Da noi giovedì scorso, il quotidiano la Repubblica, ha dedicato una pagina doppia all’argomento segnalando il grande rigoglio delle attività culturali in Francia che vede tutti i luoghi delegati, e non, gremiti di pubblico.

La cultura oltre a tutti i noti vantaggi che procura ad un tessuto sociale in termini di formazione di tutte le fasce di età della popolazione, di autentica sicurezza, di qualità della vita, di consapevolezza critica di sé, delle proprie identità, di conoscenza articolata del mondo e del tempo in cui si vive, è anche fonte consistente di prosperità economica.
I nostri lungimiranti cugini francesi lo sanno e investono in cultura cinque volte quello che investiamo noi.

In Italia l’era berlusconiana si è segnalata per la desertificazione ideologica di tutto ciò che è cultura e l’orizzonte odierno non sembra annunciare grandi novità in questo campo. Ma i professori non possono non sapere che la rinascita profonda del Bel Pese passa solo per un massiccio investimento sulla cultura.
Nel frattempo, segnalo che artisti e produttori coraggiosi illustrano il nostro Paese ricevendo prestigiosi riconoscimenti internazionali. Il prossimo 5 marzo Andrea Segre, già maestro come documentarista, verrà insignito a Londra del prestigioso Satyajit Ray Award per la sua sublime opera prima di fiction «Io mi chiamo Lì».
La pellicola è interpretata da un cast di attori italiani e stranieri semplicemente strepitosi. Per me è notizia da prima pagina.

IL DOVERE DELLA NOTIZIA (Massimo Giannini).Il dovere di cronaca

IL DOVERE DELLA NOTIZIA (Massimo Giannini)..

LE NORME NEL DECRETO delle liberalizzazioni(sveltimento Burocrazia servizi economici e commerciali)

LE NORME NEL DECRETO delle liberalizzazioni(sveltimento Burocrazia servizi economici e commerciali).

Il 21 dicembre in Piemonte approvata legge Open Data e un ipotesi interessante di uno strumento in via di sviluppo in altre regioni e nel Biellese


redazione 21/01/2012
Tra le politiche Europee più interessanti c’è quella dell’ Open data .
Partita nel 2003 e in questi ultimi tempi revisionata e migliorata .
Si tratta di Scoperchiare la miniera d’oro informativa finora chiusa nei database delle amministrazioni pubbliche
.Proprio in questi giorni Il Commissario europeo per l’Agenda Digitale Neelie Kroes ha fatto una proposta in tema di dati pubblici: obbligare Paesi membri a rendere le informazioni in loro possesso accessibili e facilmente riutilizzabili gli enti dei traffico, sull’inquinamento, sui servizi e tutto quanto fino a ieri era gelosamente custodito negli archivi informatici pubblici deve – con adeguate politiche – essere messo a disposizione di cittadini e imprese. I vantaggi che deriveranno dalla condivisione di questo patrimonio sono molteplici: nuovi servizi per la popolazione, occasioni di business per i privati ma anche maggiore trasparenza delle istituzioni.
Rispetto al testo attuale, la nuova versione conterrà indicazioni esplicite anche sui formati in cui devono essere rese disponibili e sui costi per l’utente. Questa revisione comunque non riguarda le informazioni sui privati cittadini: quelle sensibili sulla salute o i dati anagrafici rimarranno anzi molto ben custoditi.
L’Europa e L’opendata
In Italia ci sono due Regioni che stanno sperimentando questo progetto Il Piemonte e L’Emilia Romagna.
Nel maggio 2010 è stato lanciato il primo esempio di piattaforma Open Data: dati.piemonte.it. Il progetto, nato della volontà della Regione e sviluppato con il contributo di CSI Piemonte, di CSP, del Centro NEXA su Internet&Società del Politecnico di Torino e del Consorzio TOP-IX,
Il sito web è stato sviluppato come una piattaforma aperta. Pubblicato in versione beta, cresce e migliora grazie all’interazione con gli utenti. I dati disponibili sono in formati standard che permettono di utilizzarli in modo semplice e automatico. Gli utenti possono fare richieste specifiche, dire la loro e partecipare allo sviluppo. Nel giro di pochi mesi il sito si è popolato di 45 dataset, scaricati più di 2.300 volte.
Adesso siamo appena all’inizio ma con l’aiuto degli sviluppatori e della gente la cosa va avanti.
Nei prossimi mesi saranno rilasciati nuovi dati come quelli geografici, ambientali, relativi alle imprese; saranno promossi concorsi per le applicazioni più utili e sarà lanciata una nuova versione della piattaforma. In sintesi uno strumento di lavoro, online per tutti.
La Regione Piemonte ha approvato in questi giorni la nuova legge metto un articolo del 20 di dicembre http://saperi.forumpa.it/story/64571/il-piemonte-approva-la-legge-sugli-open-dataNelle sue varie applicazioni che secondo gli autori del progetto Europero e i pareri degli economisti Europei potrebbero dare dei vantaggi non indifferenti . Ipotizzando un utilizzo di questa tecnologia, e visti i primi risultati in Europa ,per zone come il Biellese che sta passando un lungo periodo di recessione nel campo lavorativo, può essere una nuova prospettiva per dare nuovi strumenti per lo sviluppo e la ricerca dele lavoro . Ad esempio un rapporto più veloce tra richiesta di lavoro e offerta .www.dati Regione
video divulgativo sull’Open data Regione Piemonte

Fuga dal debito italiano? Le alternative al materasso per il popolo dei Bot (intervista a Beppe Scienza


redazione
dopo gli eventi e la sfiducia che c’è nella gente di dove mettere i propri capitali cominciano a nascere le prime banche etiche, o gli esperti di Finanza da altri suggerimenti

Economia & Lobby | di Mauro Meggiolaro | 13 gennaio 2012

174Più informazioni su: Banca Etica, Beppe Scienza, bot, Btp, debito, rating, Ugo BiggeriFuga dal debito italiano? Le alternative al materasso per il popolo dei Bot
Il ribasso del valore e la volatilità legati all’alto rischio-paese dell’Italia rendono sempre meno appetibile per i cittadini l’investimento in buoni ordinari o pluriennali. Tra le alternative a basso rischio, le poste. E poi gli investimenti nel sociale. Come quelli proposti da Banca Etica
Anni fa li chiamavano “Bot people”. Un popolo compatto di piccoli risparmiatori fedeli ai Bot, o buoni ordinari del tesoro, titoli del debito pubblico italiano con scadenza a tre, sei o dodici mesi. Un investimento considerato sicuro che, negli anni ottanta- il periodo d’oro dei Bot – poteva rendere anche più del 15% a fronte di un’inflazione galoppante e di rendimenti dei mercati azionari paragonabili, anche se con rischi molto più elevati. Oggi le cose sono cambiate. A partire dall’estate scorsa i titoli del debito italiano – sotto il costante attacco dei mercati – non sono più considerati un porto sicuro e il popolo dei Bot è disorientato, impaurito e procede a ranghi sparsi.

A dicembre i buoni ordinari del tesoro sono stati collocati al tasso record del 5,925%. Nell’asta di giovedì 12 gennaio il rendimento si è dimezzato, scendendo al 2,735%. Per chi riesce a tenere i titoli fino alla scadenza – se si esclude l’ipotesi improbabile di insolvenza a breve dello stato italiano – il problema non si pone: lo stato paga il tasso collegato al titolo: il 5,9% nel caso dei Bot di dicembre o il 2,7% per quelli collocati ieri. Ma chi ha la necessità di smobilizzare i titoli prima, può andare incontro a perdite di valore anche rilevanti, a causa della volatilità dei mercati del debito.

Il problema si pone in modo più serio per i Btp, buoni del tesoro poliennali, che hanno scadenze più lunghe: 3, 5, 10 anni. Se non si ha la necessità di venderli prima della scadenza si possono intascare regolarmente le cedole (semestrali), che oggi sono molto elevate, grazie a rendimenti annuali in asta che sfiorano o superano il 7% (per i titoli decennali). Ma se nei tre, cinque o dieci anni, per qualsiasi ragione (spese sanitarie, acquisto casa, ecc..) si ha la necessità di smobilizzare i titoli prima della scadenza, si rischia di perdere una parte rilevante delle somme investite perché, nel frattempo, il prezzo può scendere, anche del 5-10%. Nel lungo periodo è inoltre relativamente più probabile che lo stato italiano vada incontro a un default, non riuscendo ad onorare in tutto o in parte il debito a scadenza.

Che alternative ci sono, quindi, per il risparmiatore prudente che voglia difendersi dall’inflazione senza correre grandi rischi? “Chi vuole essere sicuro di non vedere scendere il valore di quanto ha messo da parte fa bene a sottoscrivere Buoni fruttiferi postali indicizzati all’inflazione”, consiglia il professor Beppe Scienza, docente di matematica all’Università di Torino (e blogger del fattoquotidiano.it) sul mensile Club3 (www.vivereinarmonia.it). “La serie offerta nel dicembre 2011 è la migliore da quando esistono (febbraio 2006) e validissima in assoluto, perché protegge da perdite del potere d’acquisto per quanto alto sia il tasso d’inflazione in Italia. L’unico vero limite dei Buoni fruttiferi, a parte il rischio Italia, è che rivalutazioni e interessi sono congelati per 18 mesi: riscattandoli prima, si riceve solo quanto si è versato, per altro sempre senza nessuna spesa o commissione”. In alternativa – dice ancora Scienza – ci sono i titoli tedeschi agganciati al costo della vita. “Ne esistono due (Dbr-ei 1,5% 2016 e Bund-ei 1,75% 2020), che rendono logicamente meno degli omologhi italiani, ma sono ritenuti molto meno esposti al rischi di insolvenza da parte dell’emittente”.

E se i buoni postali dovessero andare male? “La possibilità c’è”, spiega Scienza sul blog cadoinpiedi.it. “Si verificherebbe nel caso in cui la situazione degenerasse e lo stato italiano finisse per essere insolvente. Questo però non può capitare nel giro di 10 giorni, ma tra qualche mese o anno, in una situazione generale di fallimenti di Stati, di fallimenti di banche”. “In caso di default i piccoli investitori sarebbero comunque più tutelati, più difesi di quelli grandi. Se uno ha 20 mila Euro, anche in caso di un fallimento dello Stato, otterrà quasi sicuramente di più in proporzione di chi ha 2 milioni di Euro, perché gli Stati in questi casi – si è visto in passato anche con l’Argentina – cercano di trattare un po’ meno peggio il piccolo, per ovvi motivi sociali e politici.”

Per chi vuole evitare il rischio-paese rimane la possibilità di comprare titoli di Stato in euro con rating tripla A di paesi come Germania, Austria, Finlandia, Olanda. Ma i loro rendimenti sono oggi molto bassi e, nella maggior parte dei casi, non proteggono dall’inflazione. L’unica eccezione, per ora, sembrano essere i buoni del Tesoro francesi, considerati dagli investitori più rischiosi rispetto alle altre emissioni con la tripla A e che, nelle scadenze più lunghe a 20-30 anni, riescono ancora a spuntare tassi netti vicini al 3%.

E i conti di deposito? Anche se pubblicizzano rendimenti lordi elevati (fino al 4-4,5% per somme vincolate a 12 mesi), in realtà, al netto della ritenuta fiscale (pari al 27% fino al 31-12-2011, il 20% da quest’anno), nel 2011 non sarebbero riusciti a battere l’inflazione. “I vari conti Arancio, Chebanca, Rendimax, Ibl, Santander, Barclays e gli altri meno diffusi, nel 2011 hanno fruttato meno dell’inflazione”, precisa Beppe Scienza. “Mediamente hanno infatti corrisposto circa il 4,10% lordo (2,99% netto, ndr), non riuscendo quindi a coprire il tasso d’inflazione, che per il 2011 si collocherà intorno al 3%”.

L’alternativa etica

In un periodo di grande incertezza sui mercati azionari e obbligazionari, nel quale i cittadini si fidano sempre meno delle banche e dei titoli di stato, cresce invece il numero di risparmiatori che si affidano alla finanza etica. Banca Popolare Etica (www.bancaetica.com), che ha sede a Padova e filiali e promotori in tutta Italia, ha chiuso il 2011 registrando per il terzo anno consecutivo una crescita a due cifre nei volumi. +11,7% per la raccolta di risparmio rispetto al 2010 e +23,9% per i crediti erogati, oggi pari a 540,8 milioni di euro. E ciò nonostante i prodotti di Banca Etica abbiano rendimenti inferiori al tasso di inflazione: l’ultimo prestito obbligazionario rende l’1,40% netto, i certificati di deposito a 12 mesi lo
0,68%.

La banca raccoglie i risparmi per concedere prestiti esclusivamente in quattro settori (e principalmente ad associazioni non profit): cooperazione sociale, cooperazione internazionale, ambiente e società civile. Tutti i crediti concessi, con il dettaglio degli importi e i nomi dei beneficiari, sono pubblicati online, sul sito della banca, in modo trasparente. “Siamo l’unica banca in Italia a farlo”, spiega Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica. “Soprattutto in un periodo come questo, moltissimi risparmiatori attribuiscono alla trasparenza sull’uso del denaro e all’effettiva possibilità di finanziare con i propri risparmi progetti ad alto valore sociale e ambientale nell’economia reale un valore superiore al semplice rendimento”, spiega Ugo Biggeri al fattoquotidiano.it. “Chi affida i suoi risparmi a Banca Etica vuole essere protagonista delle proprie scelte finanziarie e non abbocca agli specchietti per le allodole degli istituti che, a caccia di liquidità, promettono alti rendimenti derivanti da attività speculative a scapito del sostegno all’economia reale. Oggi non sono solo i Governi a dover fare la propria parte, ma anche i risparmiatori devono diventare consapevoli che con le loro scelte di risparmio decidono quale tipo di economia sostenere
Passaparola – Le cipolle amare del Governo Monti – di Beppe Scienza

(Beppe Grillo)“Siamo nelle mani di un banchiere tedesco”


Redazione
Grillo durant e la presentazione del suo libro sulla guerra economica mondiale che si sta verificando.
Dal Fatto Quotidiano 19/01/2012 Autore: Luca Telese

RIECCO IL CICLONE BEPPE GRILLO. AVEVA SALUTATO CON FAVORE IL GOVERNO DEI TECNICI
Ètornato Beppe Grillo, come un ciclone. Sbarca a Roma nella libreria
Feltrinelli di via Appia: grande pienone, trecento persone che arrivano due ore prima, e lui che inizia la presentazione un’ora prima assaltando l’inscal fibile Alain Elkann, pacato malgrado tutto, che è riuscito genialmente a infilarsi prima della presentazione evento di “Siamo in guerra” ( C h i a re l e t t e re ) portandosi dietro le telecamere del suo programma: “Ci dovete andare voi, nel cesso!”, tuona Grillo rivolto al giornalista. E subito dopo corregge: “Non te personalmente, ovvio, parlo della categoria”, ma la sala si incendia e si spella le mani. L’attore genovese si schermisce: “Io sono uno che urla, non so fare interviste…”. Ma subito dopo investe anche – come ai vecchi tempi – un signore corpulento e serafico della prima fila: “Mi interessano le vo-
stre storie… Lei, per esempio, si vede che non ha mai fatto nulla in vita sua! Ha molto da insegnarci, stasera”. È un Grillo in forma, come ti aspetti. Apocalittico, sarcastico, a tratti genialmente illuminato da lampi di ferocia, che – per esempio – cambia drasticamente rotta sul governo Monti. Tre mesi fa lo aveva salutato con favore, oggi dice: “Siamo nelle mani di un banchiere tedesco!”. E ancora: “Questo è un governo di mummie, di vecchioni, applica le ricette sbagliate”. È un Grillo che tira olio bollente sulle liberalizzazioni, che inveisce contro le navi crociera, che si dipinge così: “Guardatemi, ho 64 anni e sono bellissimo. Sono pieno di entusiasmo, sono un ragazzino”. Inutile dire che approfitta dell’occasione per scudisciare anche i politici (“Non è vero che sono tutti uguali! Io per esempio ne ho conosciuto anche di onesti, perbene… Uno!”). E fa impazzire la turboufficiostampa della Chiarelette-
re, Giulia Civiletti, perché inseguito da venti telecamere e dalla iena Enrico Lucci e finisce nel magazzino delle rese della libreria e non riesce a celebrare il rito del firma copie. Cento fedelissimi lo attendono comunque, animati da fede incrollabile. Con lui, sul palco, durante la presentazione lampo c’è anche Gianroberto Casaleggio, lo spin doctor del savonarola genovese.
E APPROFITTANDO di questa reunion Grillo inscena una meravigliosa ricostruzione del loro sodalizio con toni epici: “Ci siamo incontrati in una libreria, tanti anni fa. Io spaccavo i computer, cosa che faccio anche ora, e lui paragonava la rete a Gengis Khan. Molti si chiedono come abbiamo cominciato. Beh, lui – racconta Grillo – mi convinse ad aprire un blog, che all’inizio era frequentato da una o due persone. Poi iniziai a fare così: se andavo a Torino con il mio spettacolo scrivevo: c’è qual-
cuno che sa dirmi qualche puttanata sui politici?”. Risata. “Allora mi scrivevano: lo sai che la moglie del sindaco si è fatta dare un parcheggio? I contatti salivano, e a sera mi chiamava l’avvo cato: ‘Beppe, come è possibile? Ancora non sei salito sul palco e c’è già una q u e re l a ”. Casaleggio ha l’aria da uomo serio del nord e capelli lunghi e boccoluti da santone pop. Dice: “Vi leggo alcune frasi sovversive. Non dal nostro libro, ma da un saggio di Pietro Calamandrei (“Lo Stato siamo noi”, ndr), uno dei padri della nostra costituzione”. Boato. Casaleggio prosegue: “Sa pete quale è la differenza con Beppe? Ha detto queste cose mezzo secolo prima, ma al contrario di lui non poteva comunicare in modo virale”. Poi arriva il bis di Grillo è non ce n’è per nessuno: “La nave Costa è una metafora perfetta. E’ italiana di bandiera, ma americana di proprietà: esattamente come l’Italia”. Applausi. “Sono anni che vedo passare questi palazzi a dieci piani davanti alle nostre coste e nessuno dice nulla!”. E ancora: “Il rating è una truffa. Dei burocrati, chiusi in un palazzo di New York ci declassano? Alla loro tripla B, vorrei opporre la tripla V del colossale vaffanculo che si mer itano”. E ancora: “È il modello di sviluppo che è tutto sbagliato. Dobbiamo decidere cosa finanziare. E dobbiamo decrescere. Io non voglio finanziare ora il cancro di mio figlio tra 20 anni”.
dal Fatto Quotidiano 119/01/2012
Sipario. Grillo se ne va, il grillismo ha appena iniziato a far dis c u t e re .

L’elenco delle privatizzazioni e liberalizzazioni per ora non appare il tormentato servizio idrico (oggetto del referendum di giugno)

BANCHE E ASSICURAZIONI
Redazione
In questa manovra sicuramente molto dura metto un primo elenco di liberalizzazioni e privatizzazioni.
Dalla redazione Del Fatto Quotidiano del 19/01/2012
Fine delle polizze vendute con i mutui
Il decreto dovrebbe contenere il divieto per le banche di vendere obbligatoriamente a chi chiede un mutuo anche una polizza assicurativa. Niente da fare, invece, per lo scorporo di Banco Posta da Poste Spa. Tra le ipotesi la possibilità per il governo di abbattere il costo di carte di credito, di pagamento e simili. Previste norme dure contro le frodi assicurative e l’aumento delle pene per i periti che vi si prestano. Il governo vuole anche incentivare l’attività degli agenti plurimandatari e razionalizzare il sistema delle compensazioni tra compagnie per i risarcimenti diretti.

BENZINAI E TRASPORTI
Più distributori no-logo
La nuova Autorità dei trasporti si occuperà non solo di taxi, ma anche di concessioni autostradali (la missione: diminuirne la durata e garantirne la messa a gara) e dovrà valutare lo scorpordella rete ferroviaria dall’ex monopolista pubblico Trenitalia e garantirne un uso non penalizzante ai privati. Si salva Snam Rete Gas, che resta nella struttura dell’Eni. Sulla benzina si incentivano i distributori no logo e/o completamente automatizzati, si permette ai gestori di rifornirsi da chiunque senza esclusiva e di vendere la benzina assieme ad altri prodotti. Le grandi compagnie dovranno vendere il 30% dei loro impianti.

SERVIZI PUBBLICI
Privatizzazioni delle municipalizzate
Il decreto intende rendere più esplicita la normativa in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali anche estendendo i poteri dell’Autorità Antitrust: eliminazione delle società piccolissime attraverso accorpamenti territoriali e messa a gara dei servizi. Incentivata anche la privatizzazione delle municipalizzate, in particolare per i Comuni indebitati. I vincoli del patto di stabilità vengono estesi anche a questo tipo di società, divieti di nuove assunzioni compresi. Nelle bozze finora visionate questi provvedimenti riguardano anche il trasporto pubblico locale, ma non il servizio idrico.