Archivio mensile:giugno 2013

I MINISTRI PDL GUIDATI DA GIANNI LETTA E ALFANO CHIEDONO UNA TREGUA AI FALCHI: “BASTA FUOCO AMICO SUL GOVERNO O CI DIMETTIAMO” IL BANANA CHIEDE LEALTA ALL’ESECUTIVO E RIPARTE CON LA RISCOSSA DI FORZA GNOCCA

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Fonte Dagospia Francesco di Bei per La Repubblica 29/06/2013 attualità

Soldi ai partiti? Solo 10 milioni in meno”

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Fatto quotidiano 30/06/2013 di diTommaso Rodano attualità
Relatore della legge. Emanuele Fiano (Pd).

Non esiste nessun complotto per sabotare il ddl sul finanziamento pubblico ai partiti”. Parola di Emanuele Fiano, capogruppo del Pd nella Commissione affari costituzionali e relatore della legge su cui il governo Letta ha investito buona parte della sua credibilità: quella che dovrebbe abolire i contributi dello Stato ai partiti politici. Sul destino del ddl, secondo Fiano, non c’è motivo di alzare i toni.

Alcuni senatori del Pd (i renziani Laura Cantini, Nadia Ginetti e Roberto Cociancich) sostengono che in commissione ci sia un’alleanza trasversale per ostacolare la legge: “ Pdl e Sel sarebbero disposti a far parlare anche Pippo, Pluto e Nonna Papera pur di perdere tempo”. Non condivide questa preoccupazione?

Onestamente, questa storia dell’asse Pdl-Sel è una sciocchezza colossale. I renziani stanno trasformando la legge sul finanziamento pubblico in una loro bandiera.

Esagerano?

La realtà è un po’ diversa. Ho fatto dei calcoli sull’impatto economico che avrebbe il testo approvato dal consiglio dei ministri.

Cosa ha scoperto?

Che quando questa legge entrerà a regime, tra quattro anni, l’intervento dello Stato resterà molto significativo. Tanto per cominciare, per l’applicazione della norma del 2 x 1000 ci sarà bisogno di una copertura statale che potrebbe arrivare fino a 55 milioni di euro all’anno.

Poi?

Poi ci sono le cosiddette “erogazioni liberali”, ovvero le donazioni volontarie dei cittadini. Danno diritto a una detrazione fiscale fino al 52 per cento della somma versata. Per farla semplice: i donatori possono scaricare metà della somma donata ai partiti dalle tasse. Per lo Stato sono altri 15 milioni di euro l’anno.

In più ci sono le facilitazioni ai partiti per l’affitto delle sedi e per gli spazi televisivi.

Quelle sono le più difficili da calcolare. Stabilire una somma precisa è praticamente impossibile. Secondo le mie stime alla fine lo Stato ci rimetterebbe almeno tra i 5 e i 10 milioni di euro.

In totale, quindi?

In tutto fanno tra i 75 e gli 80 milioni di euro di contributi pubblici indiretti.

L’ultima tranche di finanziamento pubblico in quanto consisteva?

Nel 2013, con il dimezzamento dei fondi, i partiti hanno incassato 91 milioni di euro. Tra quattro anni, se tutto va bene, avremmo a regime una legge che fa risparmiare al massimo una decina di milioni di euro l’anno.

Onorevole Fiano, mi sta dicendo che è il relatore di una legge inutile?

No, non mi fraintenda. L’ispirazione è completamente differente rispetto alle norme attuali. Non è più lo Stato che decide direttamente quanti soldi distribuire ai partiti. C’è una scelta volontaria del cittadino: la logica è ribaltata.

Il finanziamento pubblico però resterà consistente.

Secondo alcuni dei costituzionalisti che hanno parlato davanti alla commissione, il fatto stesso che i partiti siano garantiti dall’articolo 49 della Costituzione giustifica l’esistenza di forme di finanzimento pubblico. Credo che il problema, fino ad oggi, sia stato il modo in cui i partiti hanno gestito il denaro: quando i soldi dipenderanno da un contributo volontario, saranno vincolati a una gestione più onesta e trasparente.

Basterà a convincere i suoi colleghi di partito?

Ai renziani dico che sarebbe grave far entrare il congresso del Partito democratico nel confronto su questa legge. Qui dentro dobbiamo comportarci da legislatori.

E a lei questa legge piace?

Può essere un punto di equilibrio tra le diverse ispirazioni che si stanno confrontando in commissione. Sulla base di quel testo, poi, bisognerà accettare una mediazione.

Blitz estivo sulla Costituzione Vogliono le mani libere LA MAGGIORANZA: DDL SU DEROGA ALL ’ART.138 IN AULA A LUGLIO

corelFatto Quotidiano 30/06/2013 i Luca De Carolis attualità

Prove tecniche di colpo di mano, sulla Costituzione. Da piazzare nel cuore dell’estate, quando le spiagge sono piene e l’attenzione sul Palazzo crolla. La strana maggioranza del governo Letta ha fretta, tanta fretta di approvare il disegno di legge che prevede una deroga all’articolo 138 della Carta: la norma che pone precisi paletti temporali e di metodo alle leggi di revisione costituzionale. E allora, l’obiettivo è quello di ap- provare entro la prima settimana di agosto il ddl che abbatte i tempi del 138. “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”recita l’articolo. Il disegno di legge vuo- le ridurre l’intervallo a un me- se, ma solo per questa volta, senza modificare l’articolo. UNA DEROGA, insomma, con cui spianare la strada al comi- tato per le riforme costituzionali di 40 parlamentari, che dovrebbe riscrivere un bel pezzo di Costituzione nello spazio di soli 18 mesi. Il comitato non è stato ancora composto, e sui titoli da modificare è ancora lite. Ma la certezza è che Pdl, Pd e Scelta Civica corrono. Tanto da voler ridurre al minimo anche i tempi di approvazione del ddl. Ce la dovrebbero fare al Se- nato, dove hanno già applicato la procedura d’urgenza. E così il via libera al testo a Palazzo Madama potrebbe arrivare già entro il 15 luglio. Ma il regolamento della Camera non prevede la procedura d’urgen – za per un ddl che incide su una norma costituzionale. Come rimediare? “Forzando” sui tempi nella conferenza dei ca- pigruppo, come è accaduto giovedì scorso. L’esito lo racconta Riccardo Nuti, capo- gruppo di 5 Stelle a Monte- citorio: “Hanno calendarizza- to la discussione del testo in aula a partire dal 29 pomerig- gio. Ma sanno che non ce la faremo mai entro fine mese. Il loro vero obiettivo è far slittare tutto ad agosto, ottenendo così il contingentamento dei tem- pi, per approvare il testo prima della chiusura estiva della Ca- mera. Una vergogna”. Venerdì scorso, con un post sul blog di Grillo, il gruppo alla Camera di M5S aveva già parlato di “colpo di mano del governo, con l’assist della presidente della Boldrini”. Nuti aggiunge: “Daremo battaglia in commis- sione, anche se gli strumenti a disposizione non sono tanti. Io e Luigi Di Maio (vicepre- sidente della Camera, ndr) ab- biamo mosso tutta una serie di obiezioni nella capigruppo, mettendo in luce come non si possa andare di corsa su un tema così importante. Nessuno, a cominciare dalla presi- dente Boldrini, ha replicato nulla: sanno che non possono farlo. Solo Renato Brunetta si è impegnato a non applicare il contingentamento dei tempi: ma come possiamo credegli?”. Dallo staff della Boldrini, replicano: “Nessun assist, la presidente non può certo de- cidere quando va calendarizzato l’esame di un ddl: spetta alla capigruppo”. Resta il fatto che la fretta della maggioranza non piace neanche a Sel. “Su un argomento così delicato non si possono bruciare i tem- pi” sostiene Gennaro Migliore, capogruppo del partito alla Camera. Che spiega: “Nella ca- pigruppo ho fatto notare che sarebbe stato più urgente met- tere in calendario la riforma della legge elettorale. Il mini- stro Franceschini mi ha risposto che il governo era anche disposto a farlo. Ma Brunetta è andato nel senso opposto: a suo dire viene prima il ddl co- stituzionale”. IL PROBLEMA principale per Migliore però non sono i tem- pi: “Il vero tema è che la mag- gioranza vuole stravolgere la Costituzione, quando il 138 non dà questo mandato. E più d’uno pensa anche di toccare la parte sulla Giustizia, cosa inammissibile. Noi risponde- remo con i nostri emendamenti. Vorremmo la riduzio- ne dei parlamentari e un bi- cameralismo diverso, con un Senato delle autonomie”. Fuori del Parlamento, a opporsi al- la riforma c’è Azione Civile di Antonio Ingroia. L’ex pm annuncia: “Tra domani e martedì manderò una lettera a Epifani, Vendola e Grillo, in cui chiederò loro di organiz- zare assieme primarie per con- sultare l’elettorato su questo tema. Non si può cambiare la Costituzione senza ascoltare prima il parere dei cittadini: i partiti che vogliono il cambia- mento devono bloccare il ddl con una moratoria”. Sulla riforma, Ingroia ha opinioni chiare: “Il Pdl vuole il presidenzialismo, con lo stravolgimento di tutti gli equilibri tra i poteri, e sogna di subordinare la magistratura al governo. Vedo riapparire la maschera golpista della P2, dietro questo progetto. E purtroppo nel Pd sono in pochi quelli che disentono”.

Il padre prostituente (Marco Travaglio).

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Da Il Fatto Quotidiano del 30/06/2013. Marco Travaglio attualità

Se tutto va male, a fine luglio la maggioranza indecente che sgoverna l’Italia imporrà a tappe forzate la modifica dei regolamenti parlamentari per aggirare l’articolo 138 della Costituzione e appaltare in esclusiva a un ristretto club di 20 deputati e 20 senatori del Pd, del Pdl e di Scelta civica (nessuno di M5S e Sel, cioè dell’opposizione) la riforma della Costituzione che poi il Parlamento non potrà neppure emendare, ma solo approvare o respingere – dunque approvare – alla svelta, senza neppure rispettare gli intervalli temporali previsti dalla Carta. È un golpe legalizzato che i cittadini potranno respingere solo votando No al referendum confermativo, ma occorrerà una grande mobilitazione perché tutti i partiti faranno campagna per il Sì, a parte Grillo e Vendola. Se Pd, Pdl e Scelta civica, alle elezioni di febbraio, avessero avuto i voti per cambiare la Costituzione, se ne potrebbe anche discutere. Invece nessuno di loro ne parlò, dunque nessun elettore li ha votati per quello. L’unica riforma istituzionale che riempiva le bocche dei leader era quella elettorale. Tutti giuravano “mai più Porcellum” e questa fu anche la prima scusa con cui la Trimurti giustificò l’inciucio del governo Letta: fare in fretta le cose più urgenti, legge elettorale ed economia, e tornare alle urne. Invece, quanto alla prima, siccome B. non la vuole, l’hanno prontamente accantonata. Quanto all’economia, le uniche decisioni assunte dal governo più rissoso e inconcludente della storia, sono i rinvii. Rinviata l’Imu, rinviato l’aumento dell’Iva, rinviati gli F-35. La stampa di regime, impermeabile anche al senso del ridicolo, titola ogni giorno su mirabolanti “accordi” per “rinviare” questo o quello. Ma un accordo per rinviare è un ossimoro: gli accordi si fanno sulle soluzioni dei problemi, non sul loro rinvio a data da destinarsi. I comuni denominatori che tengono insieme la Trimurti sono altri due: la paura di votare e l’allergia per la Costituzione. Che infatti si accingono a cambiare, concentrando tutti i poteri sull’esecutivo e smantellando i controlli del legislativo e del giudiziario. I titoli IV e VI della Costituzione, Magistratura e Corte costituzionale, erano stati esclusi dalla legge istitutiva del comitato dei 40. Ma l’altro giorno, dopo le sentenze della Consulta sul legittimo impedimento e del Tribunale di Milano sul caso Ruby, il Pdl ha tentato di infilarceli con un emendamento. Il Pd è insorto, parlando addirittura di “pirateria”, ma era tutta una finta: è bastato che B. minacciasse di scassare tutto perché ieri Lady Inciucio, al secolo Anna Finocchiaro, cedesse su tutta la linea ammettendo sul Corriere che “il problema del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e del titolo VI della Costituzione esiste e va affrontato”. Come? Con un emendamento da “formulare insieme”. Del resto il vero padrone del governo, l’unico che potrebbe farlo cadere dall’oggi al domani (e naturalmente lo tiene in piedi per ricattarlo in vista dell’amnistia) e cioè B., fa sapere che “se c’è un settore che ha assolutamente bisogno di una riforma è quello della giustizia”. È vero che il ministro delle Riforme Quagliariello dice il contrario. Ma, fra il fattorino e il titolare della ditta, tutti sanno chi comanda. Si ripete così pari pari il copione della Bicamerale: nella legge istitutiva presentata nel ’96, il capitolo Magistratura era escluso. Poi B. ordinò di inserirlo, minacciò di scassare tutto e D’Alema si calò prontamente le brache. Tant’è che in Bicamerale si parlò quasi solo di quello. Poi, siccome in due anni di lavori non veniva fuori l’amnistia, nel ’98 B. fece saltare il tavolo. Anche perché allora al Quirinale c’era Oscar Luigi Scalfaro, che si batté come un leone contro gli inciuci anti-toghe. Ora invece c’è Napolitano, che li patrocina da tempo immemorabile. E riceve al Quirinale il fresco condannato a 12 anni per frode fiscale, rivelazione di segreti, concussione e prostituzione minorile: il padre prostituente.

Datagate, quando “le vite degli altri” diventano le nostre

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Lo scandalo Datagate scoppiato negli Usa mette a nudo la fragilità della nostra privacy minacciata non solo dagli hacker ma anche da chi è deputato a proteggerci.

articolotre Salvatore Grasso – 29 giugno 2013- Si è fermata nell’area di transito dell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca la fuga di Edward Snowden, l’ex contractor della National Security Agency (NSA), in cerca di un paese che gli offra asilo politico.

L’ex collaboratore della NSA, accusato di spionaggio, dalla Procura Federale della Virginia, delitto per il quale rischia non meno 30 anni di galera, è ricercato per aver rivelato, al Guardian e al Washington Post, l’acquisizione, su larga scala e senza discrimine, da parte del governo statunitense di dati sensibili della popolazione: dalle telefonate a internet.

Gli Usa hanno controllato le telefonate della popolazione accedendo ai tabulati forniti dalla compagnia telefonica Verizon e hanno acquisito informazioni personali (email, chat, chat vocali e video-chat, video, foto, conversazioni VoIP, trasferimento di file) su milioni di internauti dai grandi colossi del web, quali Microsoft, Google, Facebook e Apple, attraverso il programma di sorveglianza Prism.

Una storia degna dei migliori scrittori di spionaggio come John le Carré e Ian Fleming, ma ai tempi di internet.

La vicenda dell’ex collaboraote della NSA che per rimorso di coscienza e per amore della libertà spiffera tutto ai giornali e fugge in cerca di un rifugio, inseguito dai 007 americani, è affascinate ma sarà del tutto vera?

Le rivelazioni di Snowden sono dettate realmente dal pentimento e dalla salvaguardia dei diritti civili? Gli equilibri geopolitici sulla governace di internet non sono, ad esempio, da sottovalutare considerando anche che le sue rivelazioni sono giunte poco prima del vertice di Palm Springs in California tra Obama e il presidente cinese Xi Jinping, in cui tra i punti all’ordine del giorno c’era pure il presunto cyberspionaggio subito dagli Usa da parte della Cina.

Ma il Datagate porta alla ribalta un tema attualissimo: la vulnerabilità della privacy persone, infatti stavolta a essere spiati non sono le nazioni straniere (almeno non solo quelle) ma i privati cittadini americani, i quali forse ingenuamente pensavano che certe cose potessero accadere solo negli altri paesi e non nella terra a cui Tocqueville dedicò il suo saggio più famoso: La democrazia in America.

Invece la fantapolitica distopica è entrata direttamente in casa loro. I paragoni con 1984, il romanzo di Georg Orwell, si sono sprecati, e secondo noi anche a sproposito, perché quello che è successo in America (e probabilmente c’è da sospettare avvenga nella stragrande maggioranza del mondo), con la scusa di garantire la sicurezza degli States da eventuali attacchi terroristici, è ancora più grave, in quanto verificatosi in una democrazia e non in uno stato totalitario come quello a cui Orwell si era ispirato per scrivere 1984.

E ancora in Nineteen Eighty-Four gli abitanti dell’Oceania erano consapevoli di essere spiati dai teleschermi disseminati in ogni edificio di quella nazione, qui invece se alludi a una situazione del genere vieni etichettato come paranoico. Un po’ è quello che è successo al grillino Paolo Bernini dopo aver dichiarato a Ballarò che l’America aveva incominciato a impiantare i microchip sotto la pelle delle persone. Quell’intervista adesso non ci appare più così fantascientifica, e dopo esserci fatti delle grasse risate, l’idea che possa essere anche vera non ci sembra più così peregrina. Infatti nell’ambito di questo scandalo si è parlato pure del prelievo del DNA da parte della polizia americana nei confronti dei criminali e non solo di questi.

Mettendo un attimo da parte il web e le telefonate, forse non ci rendiamo neanche più conto che la nostra vita è controllata diuturnamente attraverso i gesti abituali che compiamo, ormai ritenuti talmente normali da essere assimilati a un semplice respiro. L’uso della carta di credito, della tessera sanitaria, del telepass, delle fidelity card, non fa altro che tracciare a ogni istante la nostra vita.

La priorità di garantire sicurezza nazionale può giustificare una tale invasione nelle “vite degli altri”?

A chi e a che serve sapere con chi parliamo e dove si trova in quel momento il chiamato o il chiamante? A chi a che serve conoscere il nostro pensiero politico o le foto dei nostri cari e il contenuto delle e-mail?

Noi occidentali siamo cresciuti nel mito della bugia di vivere in un’effettiva democrazia e nell’illusione di essere gli unici privilegiati a fruire pienamente di (posticci) diritti civili, perché il controllo delle “vite degli altri” – ci dicevano – era un’esclusiva degli ex paesi comunisti, soprattutto durante la guerra fredda, e, nell’epoca attuale, di alcuni paesi afro-asiatici. Che a noi tutto questo non poteva mai succedere!

Ne siamo usciti con le ossa rotte adesso che abbiamo scoperto (anche se lo sospettavamo) che le “vite degli altri” sono e forse sono sempre state anche le nostre.

Ci siamo sentiti nudi, come quando abbiamo patito un furto in casa, fermi immobili dinanzi alle stanze a soqquadro, ai cassetti svuotati dai propri effetti personali e dalla biancheria intima riversa per terra. In quel momento non pensi ai preziosi rubati. Ti senti violato nel profondo della tua anima, nelle viscere della tua intimità.

No, non è questa l’osmosi giusta tra sicurezza e privacy, non è una scusa che regge, ma è una mera invasione nella vita di milioni di cittadini onesti che s’illudevano di manifestare il loro pensiero in assoluta riservatezza. Non siamo ingenui, lo sappiamo che ciò non serve solo a proteggere un paese dal terrorismo.

E tristemente guardiamo disincantati il mito sgretolarsi nelle macerie di una democrazia che adesso ha tutto l’aspetto di una patina che ne copre le sue degenerazioni.

PERCHÉ I MEDIA INTERNAZIONALI HANNO IGNORATO LE PROTESTE IN BULGARIA?

image_thumb22Fonte medium.com 28 giugno,DI
PETYA K. GRADY 2013 attualità
La gente è scesa in strada non perché un delinquente qualsiasi è diventato troppo ambizioso ma perché un governo colluso sta spogliando il loro paese.
Migliaia di Bulgari sono scesi in strada per una settimana, ma, salvo rare eccezioni, i media internazionali hanno scelto di non parlarne.

Se la guardiamo dal punto di vista pratico, questa decisione ha senso. La gente a Sofia è scesa in piazza una settimana fa dopo che Delyan Peevski – un noto oligarca, magnate dei media e politico è stato nominato a capo della Agenzia di Stato bulgara per la Sicurezza Nazionale. La nomina è stata improvvisa e prima che la sua nomina fosse pubblica, Peevski stava già concedendo interviste per spiegare come avrebbe portato avanti il suo incarico. I bulgari non lo volevano e con Facebook e Twitter, hanno organizzato una protesta, così in ventiquattro ore il Primo Ministro ORESHARSKI ha ritirato questa nomina.

Ma perché coprire una protesta che sembra rivolta contro una persona specifica, nominata ad una posizione molto specifica e, soprattutto, dopo che questa stessa nomina è già stata ritirata?
Non è una novità. Per un pubblico occidentale, la storia sarebbe già finita prima ancora di cominciare.

Anche se le proteste hanno avuto una causa specifica, come è stato per Piazza Taksim, in realtà le cause non risalgono proprio a questo particolare incidente.
Si tratta di qualcosa di molto più grande e di molto più inquietante, qualcosa che, francamente, sembra veramente da irresponsabili che averne parlato sui media … e, per un europeo dell’Est, che è così abituato a mettere in discussione l’obiettività dei media, questo comportamento appare quasi criminale.

Chi ti ha detto di tenere la bocca chiusa?!

Grazie ai suoi collegamenti ben documentati con imprenditori criminali e con i loro compari politici, l’ingiustificata facile ascesa di Peevski al potere è riuscita a simboleggiare un sistema di governance in cui politica, economia e interessi criminali hanno sviluppato un rapporto così simbiotico, che né i politici né i cittadini riescono mai a distinguere dove finisca il guadagno di qualcuno e dove ne cominci il guadagno di un altro.

La corruzione non è l’unica peculiarità della Bulgaria, ma quello di cui bisogna veramente parlare – su quanto sta accadendo in Bulgaria – è il modo in cui il (nostro) ceto politico è diventato il prodotto della stessa corruzione. Gli interessi politici e criminali sono stati così a lungo interconnessi che le persone chiamate a gestire il paese hanno una concezione del tutto confusa su ciò che significa governare.
Quello che la nomina di Peevski ha rappresentato così perfettamente è che i governanti non sono più in grado di discernere quale delle loro attività violi effettivamente la legge.
Sono diventati così intoccabili e distaccati che ormai quando non sono incapaci sono viscidi.

La gente è scesa in strada non perché un delinquente è diventato troppo ambizioso. La gente è andata fuori perché stanno spogliando il loro paese.

E’ questo che valeva la pena di scrivere.

Petya K. Grady
Fonte: https://medium.com/
Link : https://medium.com/better-humans/c48a55c30e29

Snowden da Hong Kong (Intervista tradotta in Italiano )

Fonte Stampalibera 29 giugno 2013 readazione attualità

IL MONSIGNORE, IL BROKER E L’AGENTE SEGRETO (ARRESTATI) HANNO MESSO IN PIEDI UN’OPERAZIONE PER RIPORTARE IN ITALIA A BORDO DI UN JET 20 MILIONI DI EURO DI PROVENIENZA ILLECITA

corelFatto Quotidiano 29/06/2013 Valeria Pacelli attaulità

Avevano ideato una dettagliata opera-zione per riportare in Italia venti mi- lioni di euro di provenienza illecita. L’accordo salta, ma i reati commessi restano. Per questo un alto prelato, mon- signor Nunzio Scarano, insie- me a un ex funzionario dei servizi segreti italiani Giovanni Maria Zito, e ad un broker finanziario, Giovanni Carenzio sono stati arrestati ieri mattina nell’ambito di un’indagine della procura di Roma, di cui sono titolari i pm Nello Rossi, Rocco Fava e Stefano Pesci. A svolgere gli accertamenti invece sono gli uomini del nucleo valutario della guardia di fi- nanza, guidati dal generale Giuseppe Bottillo. L’indagine che ha portato all’arresto dei tre è una costola di quella più ampia sui conti dello Ior. Sta- volta però i reati sono corruzione, truffa e calunnia, che vengono contestati a vario ti- tolo agli arrestati. I tre infatti volevano far rientrare in Italia venti milioni di euro di cui era fiduciario inizialmente il bro- ker Carenzio, lo stesso che alla fine farà saltare l’operazione. Ma è leggendo l’ordinanza di custodia cautelare che si capi- sce come ogni cosa fosse or- ganizzata nei minimi dettagli e come ognuno avesse delle mansioni specifiche. Stando alle intercettazioni, il tentativo di riportare quel denaro in Italia avrebbe rappresentato un favore per la famiglia degli ar- matori napoletani D’Amico, i fratelli Paolo e Cesare, indagati anche questi per evasione fiscale, come anticipato dal Fa t to qualche giorno fa. “Il pm – scrive nell’ordinanza la gip Barbara Callari – ha ritenuto di individuare i titolari della somma di denaro in questione negli imprenditori Cesare e Paolo D’Amico, con i quali monsignor Scarano intrattie- ne frequenti e stretti rappor- ti”. ED È DEI FRATELLI D’Amico, che smentiscono il loro coinvolgimento, che si parla anche in un’intercettazione del 13 giugno 2012, quando il mon- signore e lo 007 fanno riferi- mento agli armatori. Zito chie- de a Scarano: “la somma com- plessiva quant’è?”. Scarano ri- sponde: “Penso che per Cesare e Paolo saranno introno ai 20″. Così monsignor Scarano e il broker Carenzio si accordano. La somma da far rientrare era più alta: 40 milioni di euro, che poi diventano 20. A conferma dell’esistenza del denaro in Svizzera i pm forniscono agli atti una mail inviata da un fun- zionario del servizio finanzia- rio usb, dal quale emerge come l’istituto elvetico, il 20 giugno 2012, abbia messo a disposizione di Carenzio la somma di 41 milioni di euro, proveniente appunto dai fondi dei titoli. Per mettere a segno il tiro, però il duo ha bisogno di una terza persona, l’uomo degli agenti segreti Giovanni Maria Zito. Grazie all’agente infatti po- tranno eludere i controlli alla frontiera, e portare il denaro in contanti in Italia tranquilla- mente. È Zito, infatti, che si at- tiva per trovare un jet privato da utilizzare per il trasporto del denaro in contante. Coinvolge anche un uomo, Bruno, del tutto inconsapevole, che por- terà con sè chiedendogli di presentarsi armato, e trova an- che delle schede telefoniche “coperte” intestate ad ignari. Mentre prepara tutto questo, lo 007 presenta anche delle giustificazioni mediche non veritiere all’Aisi: per questo è indagato anche per truffa. OVVIAMENTE il lavoro “pa – rallelo” di Zito viene fornito dietro lauto compenso: nell’in – tercettazione del 21 giugno 2012 infatti Carenzio e Zito parlano anche di questo. Zito: “Io le assicuro il risultato fina- le, stia tranquillo senza alcun problema (…) in modo che io mi faccio già un… lei sa per- fettamente che ci sono delle piccole spese di carburante e quelle ovviamente sono sue, poi ne riparliamo a voce… co- munque sono sciocchezze”. Carenzio: “Si si”. Zito: “Il resto e gratis et amor dei”. Sembra tutto pronto insomma, ma a pochi giorni dall’operazione Carenzio ci ripensa e agisce in modo incomprensibile per gli stessi magistrati. Il 15 luglio chiama i carabinieri e denun- cia anonimamente un attenta- to nei confronti del giudice Franco Roberto, capo della procura di Salerno. Secondo i magistrati, questa iniziativa era volta unicamente “a bru- ciare l’utenza telefonica provo- cando su di essa controlli da parte delle forze dell’ordine dopo la denuncia fatta”. Mentre brucia la scheda telefonica, però, Giovanni Zito è già in viaggio da Roma verso Padova, dove incontrerà il legale rappresentante di una società che mette a disposizione il jet privato. Il 16 luglio arrivano a Lo- carno, ma il broker non si pre- senta, inscena addirittura un attentato all’aeroporto di Ca- podichino tentando così di giustificare il ritardo del suo aereo. Ormai i rapporti sono totalmente deteriorati e l’ope – razione salta. LO 007 però vuole esser pagato lo stesso. Così a dover fronteg- giare le spese interviene Mon- signor Scarano. Che stacca due assegni. Il primo ammonta a 400 mila euro e viene incassato da Giovanni Zito; il secondo di altri 200 mila. Per quest’ultimo però Scarano tenta di evitare il pagamento. Si presenta ai ca- rabinieri e denuncia le scomcarno, ma il broker non si pre- senta, inscena addirittura un attentato all’aeroporto di Ca- podichino tentando così di giustificare il ritardo del suo aereo. Ormai i rapporti sono totalmente deteriorati e l’operazione salta. LO 007 però vuole esser pagato lo stesso. Così a dover fronteg- giare le spese interviene Mon- signor Scarano. Che stacca due assegni. Il primo ammonta a 400 mila euro e viene incassato da Giovanni Zito; il secondo di altri 200 mila. Per quest’ultimo però Scarano tenta di evitare il pagamento. Si presenta ai ca- rabinieri e denuncia le scom-parsa del libretto degli assegni in bianco. Azione che gli costa anche il reato di calunnia nei confronti di Zito. Scarano non ci sta e vuole il suo denaro. Pensa una seconda opzione per farlo recuperare quello perso. E con l’ausilio dell’av – vocato Francesco Carluccio pensa addirittura di denuncia- re lo 007 affermando di avergli prestato quel denaro per un’immobile che lui effettiva- mente compra. Era un prestito nella mente di Scarano, non il compenso per un’operazione che anche lui voleva mettere a segno. Ma di questi assegni staccati è a conoscenza anche Maurizio D’Amico, della fami- glia degli armatori salentini. In una intercettazione del 19 lu- glio 2012 Scarano infatti informa l’amico Maurizio di aver incontrato Zito nella serata precedente al quale “ho dovuto firmare 2 da 200 mila”. Poi il 20 luglio, ribadisce di stare in una situazione precaria a causa “dell’elevato importo a favore del tuo amico se servizi”. Ma ci sono anche altri che san- no di questa brutta faccenda. Come Don luigi Noli, amico del monsignore salernitano che, scrivono i pm, “ha letto una lettera fattagli pervenire da Zito nella quale ha esposto le ragioni in merito al mancato rientro dei capitali svizzeri”.

I partiti vogliono cambiare la Costituzione con un colpo di mano.

Colpo di mano del governo con l’assist della Boldrini. A fine luglio sarà portato in aula il provvedimento per cambiare l’art.138 della Costituzione che stabilisce le regole per modificare la stessa Costituzione. Si fa di corsa, a fine luglio. Il M5S si opporrà. Gli esponenti della maggioranza si appellano per giustificare la fretta a modifiche importantissime. Perché discutere l’importantissima modifica della Costituzione a fine luglio? Perché forzare i tempi della Camera per cambiare la Costituzione con gli italiani in vacanza distratti con la regia della presidente della Camera Boldrini?”
L’articolo 138 che i partiti vogliono cambiare: Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

M5s Senato

Da beppegrillo.it

Un ministro da cacciare (Marco Travaglio).

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Da il Fatto Quotidiano del 29/06/2013. marco travaglio attualità
Il governo Letta, in appena due mesi di vita, ha perso per strada prima il sottosegretario (Biancofiore) e poi il ministro (Idem) delle Pari Opportunità. La prima per una scemenza sui gay, la seconda per una serie di pasticci edilizi e fiscali. Ma non è detto che chi resta sia meglio di chi se n’è andato, anzi quando si sente parlare il ministro della Difesa Mario Mauro viene la nostalgia non solo della Idem, ma perfino della Biancofiore. E non solo per le fesserie che continua a dire sugli F-35 (“amare la pace significa armare la pace”). Ma soprattutto quando, non si sa bene a che titolo, parla di giustizia. L’altra sera l’ex berlusconiano ora montiano ma sempre ciellino era ospite di Porta a Porta, comodamente assiso accanto alle neoalleate Paola De Micheli (Pd) e Daniela Santanchè (Pdl: indichiamo i partiti di appartenenza perché ormai è impossibile distinguerli). Il tema erano i processi di B., di cui nessuno degli ospiti sapeva assolutamente nulla, dunque ne parlavano tutti, aiutati da servizi che parevano scritti da Ghedini (uno definiva “mostruoso” il risarcimento inflitto alla Fininvest per avere scippato la Mondadori e confondeva l’attuale valore in Borsa del gruppo di Segrate con quello di un’azienda che da 22 anni dà utili a chi la scippò al legittimo proprietario). Vespa, in pieno conflitto d’interessi in quanto autore Mondadori, sosteneva il suo editore col decisivo argomento che la sentenza sul Lodo – scritta del giudice Vittorio Metta, corrotto da Previti con soldi Fininvest – è regolare perché gli altri due giudici che non la scrissero non furono corrotti (Previti, si sa, ha il braccino corto e lascia sempre le cose a metà).

Mauro la chiama “leale collaborazione fra poteri”: o la magistratura collabora insabbiando i reati dei politici, oppure restituiamo ai politici la licenza di delinquere. Altrimenti “facciamo del male al Paese e ogni cittadino, anche il più fragile, urla il suo sdegno perché non si sente certo nelle mani della nostra giustizia”. Senza contare che rischiamo “di non entrare in Europa”: non perché abbiamo il record europeo di corruzione, evasione e mafia, ma perché i magistrati perseguono politici corrotti, evasori e mafiosi. A quelle parole deliranti c’era magari da attendersi qualche pigolio della De Micheli (che però s’è appena sposata col paggetto Confalonieri a reggerle il velo). Invece niente, tant’è che Mauro e la Santanchè si felicitavano per la rocciosa “coesione della maggioranza sulla giustizia”. Mauro concludeva che “in questi anni la giustizia è stata spesso subordinata alla lotta politica”. Amen. Ora, che un vecchio sodale di galantuomini come B. e Formigoni la pensi così, è più che comprensibile. Ma, siccome rappresenta il governo, delle due l’una: o il premier Letta (Enrico) condivide i suoi deliri sul ritorno all’immunità, e allora dovrebbe confessare i patti occulti che ancora non ci ha detto; oppure non li condivide, e allora sarebbe cosa buona e giusta se prendesse il suo ministro e lo accompagnasse alla porta.

Completavano il quadro il solito inutile vendoliano, tale Stefano, che vorrebbe “separare la vicende giudiziarie da quelle politiche” e Massimo Franco del Corriere , “sconcertato perché il risarcimento deciso dal tribunale è diverso da quello deciso in appello e da quello chiesto dal Pg della Cassazione e perché il Tribunale ha condannato B. nel caso Ruby a una pena superiore a quella chiesta dai pm” (a suo avviso i tre gradi di giudizio servono a fotocopiare tre volte le richieste dei pm, così poi i Franco accusano i magistrati di corporativismo e i giudici di appiattirsi sui pm e chiedono la separazione delle carriere). A quel punto toccava al cosiddetto ministro Mauro dare un po’ d’aria alla bocca: “Io non credo al racconto criminale della vita di eminenti uomini politici, da Andreotti a Berlusconi”. Cioè lui non riconosce le sentenze definitive che dichiarano Andreotti mafioso fino al 1980 e B. corruttore di giudici e testimoni, falsificatore di bilanci e frodatore fiscale, nonché falso testimone sulla P2 e finanziatore illegale di Craxi, capo di un’azienda che compra finanzieri e accumula fondi neri, né tantomeno a quelle provvisorie sulla Puttanopoli di Arcore. Poi passava direttamente alle bugie: “Mi chiedo perché tutte le vicende giudiziarie di B. sono nate nel 1994 dopo che entrò in politica”. Naturalmente non è vero niente, anzi è vero l’opposto: già processato per falsa testimonianza nel 1989 e salvato dall’amnistia, B. e il suo gruppo furono oggetto di indagini a Milano fin dal ’92 e proprio per scamparvi (oltreché per salvarsi dai debiti e dal fallimento) il Cavaliere entrò in politica nel ’94. Infine il ministro Mauro impartiva agli astanti un’imperdibile lezione di diritto costituzionale: “Se il problema è l’equilibrio dei poteri, tirar fuori questo Paese dal guado, discutere un diverso modello costituzionale, come possiamo pensare che sia privo di equilibrio sul tema giustizia?”. E per lui l’equilibrio fra i poteri si conquista con l’“immunità parlamentare”, che merita “un’appassionata difesa”: infatti ha scoperto che “i padri costituenti diedero la “totale indipendenza alla magistratura perché l’Italia usciva dal fascismo”, ma oggi bisogna “garantire anche la politica”, rendendola immune da indagini.