Archivio mensile:novembre 2013

Esperanza de Violar (Marco Travaglio).

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Da Il Fatto Quotidiano del 30/11/2013. Marco Travaglio attualità

Ieri il Fatto ha raccontato la storia del detenuto Federico Perna, 34 anni, tossicodipendente e malato, morto a Poggioreale dopo che gli avevano negato il ricovero. Una storia spaventosa quanto le foto del cadavere diffuse dai familiari, che riporta d’attualità lo scandalo Cancellieri-Ligresti: né Federico né i suoi avevano il numero di cellulare della ministra della Giustizia. Abbiamo atteso per tutto il giorno il pigolio dei garantisti a intermittenza, quelli che chiamano Amnesty International appena un politico o un banchiere viene arrestato o intercettato. Invano. Hanno altro da fare: la cosiddetta “riforma della giustizia”, che in realtà è la solita riforma dei giudici. Dicono che ora B. è fuori dal Senato, quindi “finalmente” si può farla senza il sospetto di favorirlo. Ora, a parte il fatto che B. è decaduto e non deceduto, dunque ogni intervento pro-imputati & condannati favorirebbe anche lui, sfugge la logica del ragionamento: è come ammettere che le “riforme” invocate e tentate per vent’anni da B. erano giuste, ma venivano osteggiate solo perché le proponeva lui. L’idea geniale l’ha rilanciata il saggio quirinalizio Luciano Violante, molto preoccupato – almeno quanto il suo sponsor – per lo sfilarsi di Forzitalia dal tavolo della controriforma ammazza-Costituzione, che non ha più la maggioranza dei due terzi per sottrarla al referendum popolare. Ecco dunque la captatio benevolentiae per gl’italoforzuti e il contentino agli Alfanidi per farli apparire un po’ meno traditori. Violante riesuma la porcata bicamerale contro l’“ipocrisia” dell’azione penale obbligatoria che impone ai pm di indagare su ogni notizia di reato: “i procuratori generali, coinvolto Parlamento e Csm, indichino le priorità penali da perseguire”. Il noto participio presente vorrebbe che un centinaio di anziani magistrati, d’intesa con i politici, decidano quali reati punire e quali lasciare impuniti. Indovinate un po’ quali saranno. Siccome poi qualche giornale racconta ancora le inchieste sul potere, soprattutto le telefonate dei politici con fior di delinquenti (“il tema è enorme e comporta conseguenze dirette sulla stabilità e la credibilità del potere politico”), urge bavaglio: “La separazione delle carriere andrebbe fatta tra magistrati e giornalisti”, specie “di giudiziaria”. Così la gente non saprà più nulla. Di separare le carriere dei ladri da quelle dei politici, manco a parlarne. Il vero guaio – dice il “saggio”– è che certi “magistrati sono divenuti depositari di responsabilità tipicamente politiche” perché “la politica ha delegato alla magistratura tre questioni ‘politiche’: terrorismo, mafia e corruzione”. Chissà mai di che devono occuparsi le toghe se i processi a terroristi, mafiosi, corrotti e corruttori deve farli la politica. Ma forse abbiamo capito: di rubagalline. Se no – lacrima Violante – partono “ondate moralistiche a gettone”, tipo quelle sulla Cancellieri (per un’innocente “espressione sbagliata al telefono”, povera donna). Ma anche su B., che “la sinistra ha scioccamente inseguito sul suo terreno accontentandosi della modesta identità antiberlusconiana”, ma “neanche la Resistenza fu antimussoliniana: si era antifascisti e tanto bastava”. Infatti Mussolini venne fucilato e appeso per i piedi in piazzale Loreto: ma non per antimussolinismo, semmai per simpatia.

Non bastando Violante, ecco il violantino Roberto Speranza, inopinatamente capogruppo del Pd alla Camera. Ha inventato una strada davvero ingegnosa per uscire dal berlusconismo: fare tutto quel che B. non è riuscito a fare, possibilmente per evitare che altri politici facciano la sua fine. Siamo – rivela Speranza al Corriere – “in una nuova fase”, grazie ad “Alfano e gli altri ministri”: archiviata l’èra dell’“impunità per Berlusconi”, ora privilegiano “l’interesse dell’Italia”. Deve averglielo detto Alfano, autore delle ultime tre leggi incostituzionali per l’impunità di B. (“lodo”, “legittimo impedimento”, bavaglio-intercettazioni). Quindi c’è da credergli.

“Non abbiamo paura, siamo pronti”. A fare che? A completare l’opera lasciata incompiuta da B., cioè a manomettere la custodia cautelare, la responsabilità civile dei magistrati, l’azione penale e perfino l’ergastolo. Anzitutto, trilla il fringuello, occorre una legge che “limiti l’abuso della custodia cautelare”: ma gli abusi sono già vietati (altrimenti non sarebbero abusi). Se un giudice arresta qualcuno senza i requisiti previsti dalla legge (gravi indizi di colpevolezza e pericoli di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato), dev’essere denunciato e punito. Se Speranza sa qualcosa, faccia i nomi e chiami la Cancellieri, se non trova occupato. Altrimenti taccia. Lui però gli abusi li deduce dalle statistiche: “In Italia 4 detenuti su 10 in attesa di giudizio, in Gran Bretagna solo 1,6”. Forse non sa che in Gran Bretagna è in attesa di giudizio solo chi attende la prima sentenza, mentre da noi lo è anche il condannato in primo grado e in appello che attende la Cassazione. Non solo: “Tre su 4 vengono assolti, è inaccettabile”. Ma il dato è farlocco: non si riferisce agli arrestati, ma agli indagati che, alla fine della gimkana, non vengono condannati. Sul totale degli indagati, gli assolti, i prosciolti e gli archiviati (cioè gli innocenti) sono circa un terzo, un dato assolutamente fisiologico; poi ci sono i prescritti, gli indultati, i condonati e gli amnistiati (i colpevoli impuniti), che sono un altro terzo. Ma forse il garantista Speranza troverebbe più accettabile se tutti gli indagati venissero condannati, come nelle dittature, magari facendo scrivere le sentenze direttamente ai pm. In attesa dell’epocale riforma, il nostro eroe invoca “una Corte disciplinare formata non esclusivamente da magistrati” per i processi disciplinari alle toghe: forse non sa che già oggi il Csm e la sua sezione disciplinare sono misti, fra magistrati e politici. Solo che i magistrati sono maggioranza, mentre il duo Violante-Speranza sogna una Corte dominata da politici: per intimidire i magistrati ancor meglio di oggi. Poi c’è l’ideona sull’azione penale: “Dobbiamo rendere più chiari i presupposti di intervento dei giudici (che poi sarebbero i pm, ndr): dev’essere chiaro che si agisce quando c’è una notizia di reato”. Perché, oggi le indagini da che cosa partono, se non dai reati? Chicca finale: “Voglio ricordare una mia battaglia personale: l’abolizione dell’ergastolo” A parte il fatto che di fatto l’ergastolo non esiste più, se non per i terroristi e i mafiosi irriducibili, siamo spiacenti di deluderlo, ma c’è chi in tempi non sospetti è arrivato prima di lui: Totò Riina, nel papello. C’è pure il caso che gli chieda il copyright.

“ILLEGALI I SOLDI AI PARTITI” C’È UN GIUDICE A ROMA

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Da Il Fatto Quotidiano del 30/11/2013. Sara Nicoli attualità

IL PROCURATORE DELLA CORTE DEI CONTI DEL LAZIO RICORRE ALLA CORTE COSTITUZIONALE: ”CON IL RITORNO DEI FONDI PUBBLICI VIOLATO IL REFERENDUM”.

Ce l’hanno messa tutta e in vent’anni si sono intascati 2,7 miliardi di euro nonostante 31 milioni di italiani, nell’aprile del ‘93, avessero votato, in modo plebiscitario, per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Un referendum, promosso dai Radicali, diventato carta straccia grazie a sottili artifici lessicali che hanno trasformato i “finanziamenti” in “rimborsi”, aggirando la volontà popolare fino a quando, con lo scandalo della Lega, ma anche con il caso Lusi e molti altri accadimenti legati al malcostume della Casta, la volontà popolare si è trasformata in incitamento alla protesta da parte di Grillo e dei suoi. Inducendo perfino il pacato Enrico Letta a minacciare, dal giugno scorso in poi, di intervenire “anche per decreto” pur di mettere fine alla faccenda.

ORA, dopo che la Camera ha approvato, non senza sforzo e disagio, una legge che dovrebbe interrompere l’erogazione a pioggia di denaro sui partiti, salvo poi scordarsela in commissione Affari costituzionali del Senato, ecco che ieri un giudice ha messo fine al balletto, sollevando una questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale. Stiamo parlando del procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis. Che, in pratica, ha messo in mora tutte le leggi, a partire dal 1997, che hanno reintrodotto il finanziamento pubblico dei partiti, per averlo fatto “in difformità” rispetto al referendum del ‘93. La decisione è partita dopo l’indagine istruttoria aperta nei confronti di Luigi Lusi, sotto processo anche penalmente per illecite sottrazioni di denaro pubblico. Per De Dominicis, tutte le leggi che la Casta ha prodotto e votato per continuare a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, “sono da ritenersi apertamente elusive e manipolative del risultato referendario, e quindi materialmente ripristinatorie di norme abrogate”. Per la Corte dei Conti, quindi, “tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi”. Dalla normativa contestata, sempre secondo il magistrato contabile, deriva “la violazione del principio di parità e di eguaglianza tra i partiti e dei cittadini”.

Infatti – argomenta – i rimborsi deducibili dal meccanismo elettorale “risultano estesi”, dopo il 2006, a tutti e cinque gli anni del mandato parlamentare, in violazione “del carattere giuridico delle erogazioni pubbliche, siccome i trasferimenti erariali, a partire dal secondo anno, non solo si palesano come vera e propria spesa indebita, ma assunti in violazione del referendum dell’aprile 1993”. Insomma, i partiti hanno “preso in giro” i cittadini “attraverso la finzione del linguaggio”, come sottolineato dal professor Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”, ma questo non ha fermato la Casta. Che ora, forte anche dell’attesa su una pronuncia della Corte, potrebbe decidere persino di non proseguire nell’approvazione del nuovo ddl in stallo in commissione Affari costituzionali del Senato, per evitare che venga dichiarato incostituzionale appena approvato. D’altra parte, dentro quel provvedimento è scritto chiaramente che l’erogazione dei fondi pubblici si sarebbe dovuta interrompere nel 2017.

Una data troppo lontana, a ben guardare, per la Corte costituzionale che solo ora, si sottolinea, può intervenire sul tema perché chiamata in causa direttamente da un giudice. E poi in quella legge sono contenute una serie di storture che non risolvono assolutamente il problema così come impostato dal giudice contabile alla Consulta. Si prevede, infatti, l’iscrizione dei partiti che possono essere inseriti nell’apposito registro e accedere così al finanziamento, mentre altri no (guarda caso, i 5 Stelle, perché non hanno lo statuto), ma a pagare è sempre lo Stato.

PER L’ANNO in corso e i prossimi tre anni l’esborso sarà sempre forte: nel 2014, 91 milioni di euro; 54 milioni e 600 mila per il 2015; 45 milioni e mezzo per il 2016 e per il 2017 circa 36 milioni 400 mila. A queste somme si aggiungono le donazioni dei cittadini che potranno dare il due per mille mentre il tetto del finanziamento da parte dei privati è stato innalzato, alla fine, fino a oltre 100 mila euro. Insomma, l’ennesimo modo per aggirare la volontà popolare. Resta da vedere che cosa farà il governo alla luce di questa assoluta novità giuridica che ieri ha visto i grillini chiedere di nuovo “la restituzione dei soldi agli italiani” e Mario Staderini, segretario dei Radicali, affermare che per “vent’anni i partiti hanno fatto un furto agli italiani”.

La cifra è comunque imponente, sicuramente scandalosa in tempi di crisi come questi, dove si fatica a comprendere il distacco della politica da un problema così evidente. Perché salta agli occhi fin troppo chiaramente che chissà quante cose avremmo potuto fare con 2,7 miliardi di euro in più a bilancio dello Stato. Spesi diversamente.

Terra dei fuochi, l’ex finanziere: “Miei colleghi insabbiarono inchieste su veleni

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Il Fatto Quotidiano 29 novembre, 2013 di Vincenzo Iurillo attualità
Giuseppe Carione, maresciallo in pensione, racconta gli sversamenti di rifiuti nei campi in provincia di Caserta. “Ora lì crescono le fragole, nessuno ha mai scavato: se i pm me lo chiedono, li accompagno sul posto”

Rifiuti tossici
Colpa della camorra, certo. E anche di certa imprenditoria senza scrupoli. Ma se per anni è stato possibile sversare nei campi della Terra dei Fuochi qualsiasi genere di veleno, questo è avvenuto anche grazie al silenzio di pezzi dello Stato, che dovevano controllare i luoghi e perseguire i criminali. Ma qualcuno non ha fatto il suo dovere. Lo afferma un maresciallo in pensione della Guardia di Finanza, che ha raccontato ai magistrati di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) una storia che fa venire i brividi. Si chiama Giuseppe Carione e per quindici anni, dal 1989 al 2004, è stato in servizio presso la compagnia di Aversa con il grado di maresciallo capo e la qualifica di verificatore fiscale.
Carione dice di aver visto sotterrare schifezze di ogni tipo nei campi tra Aversa, Lusciano e Parete, nella provincia casertana. Dice che alcuni colleghi finanzieri, tra i quali colonnelli e generali, sapevano tutto, ma hanno chiuso un occhio e non hanno indagato. Dice che su quei terreni ora ci fanno crescere le fragole. “Se i magistrati me lo chiedono, li porterò nei luoghi precisi dove scavare. Ci sono andato qualche tempo fa, nessuno ha mai scavato, una parte è desertificata, non c’è manco l’erba, in un’altra parte invece ci sono serre coltivate, vi crescono le fragole: chissà chi le ha mangiate in questi anni”. Carione è parte lesa di un procedimento penale nato dai suoi esposti contro alcuni alti ufficiali delle fiamme gialle, denunciati per presunti occultamenti di inchieste e accertamenti fiscali.
Nei mesi scorsi, tramite una memoria di tre pagine indirizzata al gip, il maresciallo ha rincarato la dose contro i suoi ex colleghi: sarebbero stati complici anche dell’avvelenamento dei terreni agricoli. Accuse tutte da verificare. Ma Carione è preciso e circostanziato. Si riferisce a fatti del 2002. Porta all’attenzione degli inquirenti un’esperienza maturata sul campo. E precisa che gli appostamenti grazie ai quali scoprì lo smaltimento illegale di rifiuti tossici nelle campagne del casertano furono compiuti grazie alle ‘imbeccate’ di colui che pochi anni dopo sarebbe diventato uno dei pentiti di camorra più ascoltati dalla magistratura campana: l’imprenditore Gaetano Vassallo, il ‘ministro dei rifiuti’ del clan Bidognetti, uno dei principali accusatori di Nicola Cosentino nel processo Eco4. Vassallo, che all’epoca si era ritagliato il ruolo di ‘informatore’ della polizia giudiziaria, mosso forse anche dallo scopo di eliminare dal mercato qualche concorrente ai suoi business, avvisò il maresciallo e l’allora comandante della compagnia di Aversa “che era in atto, in Agro, tra Aversa e Lusciano (o Parete) un grosso traffico di rifiuti pericolosi smaltiti su terreni agricoli da parte dei fratelli Roma (Elio e Generoso) di Trentola Ducenta”.
Ecco il resoconto di Carione sull’esito della soffiata, passaggio chiave della memoria al Gip: “Osservammo alcuni camion con cassoni che scaricavano su una tenuta di terreno agricolo, incolto e senza piante, grossi quantitativi di fanghi umidi di colore grigio scuro, mentre un grosso escavatore meccanico provvedeva immediatamente ad occultarli sotto terra. Tale camion entrava in una fabbrica di trattamento rifiuti con impianto industriale sita alla periferia nord di Trentola Ducenta, in provincia di Caserta, nelle immediate adiacenze della strada che porta a Ischitella ed attigua a un ristorante denominato Il Mericano. Da quel momento non ho saputo più nulla – afferma Carione – e, per quanto mi è dato sapere, non venne informata l’autorità giudiziaria. Non venne effettuato alcun sequestro di terreno agricolo, ove venivano occultati i rifiuti, né sequestrati automezzi, né vennero effettuati arresti di individui seppure vi era la flagranza di una serie di reati ambientali, sanitari, associativi, riciclaggio e fiscali”.
Insomma, quegli sversamenti rimasero impuniti, sostiene il maresciallo, che nelle sue denunce fa nomi e cognomi dei presunti responsabili dell’insabbiamento. Per loro la Procura ha chiesto due volte l’archiviazione, il Gip sta valutando. Indagine complessa, delicata. Il pm, per proteggere l’identità degli alti ufficiali coinvolti, li ha iscritti nel registro degli indagati usando nomi fittizi. La vicenda ebbe sviluppi particolari. Carione fu improvvisamente trasferito a Ischia. Nel 2005, tre anni dopo quei misteriosi intombamenti di fanghi tra Aversa e Lusciano, i fratelli Roma furono arrestati dai carabinieri per traffico illecito di rifiuti. Oggi il maresciallo in pensione si augura che le sue segnalazioni abbiano finalmente un seguito. Undici anni dopo. Per salvare il salvabile.
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La bufala dell’Imu. In oltre 600 comuni si pagherà una quota

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Il Governo ha abolito la seconda rata dell’Imu. O meglio: avrebbe. Perché in realtà in oltre 600 città i residenti dovranno pagare una quota per coprire i mancati introiti dell’extragettito

articolotre del 28/11/2013 Redazione attualità –
La seconda rata dell’Imu è stata cancellata. Questo sembrava dalle parole di molti politici che in trasmissioni e interviste annunciavano la fine della tanta odiata tassa. Ma è davvero così? In realtà no.
Perché il Consiglio dei Ministri ha deciso che l’extragettito mancato dall’aumento di aliquote in 600 città, deciso nel 2013, verrà coperto per metà dallo stato e per metà dai cittadini. Quindi una sorta di mini-tassa o mini-stangata, come alcuni l’hanno chiamata.
Come ha detto il presidente dell’Anci Fassino, ma anche molti primi cittadini, “Non si può abusare della loro pazienza e tanto meno si può abusare della pazienza dei cittadini”.
Anche perché sono interessate anche alcune grandi metropoli e diversi comuni capoluogo. Come nel caso di Milano, dove l’aliquota è salita dal 4 al 6 per mille, Bologna, dal 4 al 5, Napoli dal 5 al 6 o Genova dal 5 al 5.8.
Una rata che potrebbe aggirarsi fino a poco più di una quarantina di euro ma che varierà da città a città.

Non c’è alcuna crisi in Europa”, la Commissione nega l’emergenza per non tagliare gli stipendi dei funzionari

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Fatto Quotidiano del 29/11/2013 di Stefano Feltri attualità
L a crisi c’è, la crisi non c’è. Quando la Commissione europea deve discutere con i Paesi membri, a cominciare dall’Italia, le mi- sure di rigore, è perfettamente consapevole della gravità del mometo. Ma quando si tratta di proteggere gli stipendi dei suoi funzionari, l’esecutivo europeo di José Barroso arriva a scrivere in documenti ufficiali che in Europa non c’è al- cun “deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale”. I GUARDIANI dell’austerità diventano incredibilmente ottimisti per difendere i salari di Bru- xelles dal Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di governo dei Paesi membri. La storia è ricostruita nella sentenza della Corte di Giustizia europea relativa alla causa C-63/12, del 19 novembre scorso. La Commissione, affiancata dal Parlamento europeo, aveva presen- tato un ricorso contro il Consiglio sostenuto alcuni Paesi (Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Spa- gna, Olanda e Gran Bretagna). Secondo il trattato sul Funzionamento dell’Unione, ogni anno il Consiglio decide “prima della fine di ogni anno in merito all’adeguamento delle retribuzioni e delle pensioni proposto dalla Commissione”. Nel dicem
bre 2010 il Consiglio ha deciso di far scattare la “clausola di eccezione”, ha ritenuto cioè che l’Europa fosse di fronte a un “deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale all’interno dell’Unione”. E quindi ha chiesto alla Commissione di presentare “ade – guate proposte”. Tradotto: visto che c’è la crisi in tutto il continente e si annunciano anni terribili, gli euro- burocrati diano il loro esempio ri- ducendosi lo stipendio. IL 13 LUGLIO DEL 2011 la Commis- sione di Barroso presenta una relazione in cui “gli indicatori mostra- vano che nell’Unione la ripresa eco- nomica continuava a progredire” e quindi “non vi era un deteriora- mento grave e improvviso della stuazione economica e sociale all’in – terno dell’Unione nel periodo di riferimento tra il primo luglio 2010, data di effetto dell’ultimo adegua- mento annuale delle retribuzioni, e a metà di maggio 2011, momento in cui sono stati resi disponibili i dati più aggiornati, si legge nella sentenza”. Niente crisi, niente tagli. Eppure l’estate 2011era quella in cui l’Italia era a un passo dal default, con la Banca centrale europea costretta a comprare Btp perché nessuno li vo- leva più, la Grecia era sprofondata nel baratro, il Portogallo e l’Irlanda avevano già firmato per avere gli aiuti di emergenza e le riforme traumatiche della troika, e l’esistenza stessa della moneta unica, e dunque di tutta l’Unione, cominciava a sembrare non scontata. La Commissio- ne, nel suo contenzioso giuridico con il Consiglio, ammette i numeri “evidenziano un peggioramento per il 2011 rispetto alle previsioni pubblicate in primavera”, ma non c’è alcuna emergenza che faccia scattare la clausola di eccezione. La battaglia davanti alla Corte di Giustizia si sviluppa in un labirinto di dettagli procedurali, maggioranze qualifica- te e cavilli bruxellesi, si aggiungono due ulteriori ricorsi, con altri Paesi coinvolti. La Corte boccia i ricorsi della Commissione e la condanna a pagare le spese, ma non si pronuncia nel merito. Gli stipendi dei funzionari di Bruxelles sembrano rimanere al riparo dai tagli. Eppure, anche solo come misura simbolica, potrebbero su- bire una limatura senza traumi per gli interessati. SECONDO IL SITO della Commissione, i funziona- ri hanno un salario d’in- gresso da 2.300 euro al mese, ma dopo quattro anni possono arrivare a 16.000 cui si aggiungono varie voci (come un’indennità di di- slocazione del 16 per cento per chi lavora lontano dal Paese d’origine, cioè quasi tutti), poi assegni per i figli a carico, una “indennità scolastica” e una prescolastica e così via. Vanno in pensione a 63 anni con la pensione di anzianità, ma possono ottenere un prepensiona- mento a 55 anni o decidere di rimanere in servizio fino a 67. E la pensione è calcolata, ovviamente, con il sistema retributivo, può arrivare al 70 per cento dell’ultimo stipendio base. Trattamenti così generosi non li avevano neppure in Grecia prima della troika. Ma ogni sacrificio è vietato, la crisi non esiste, per la Commissione.

CROZZA NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE – SETTIMA PUNTATA DEL 29 NOVEMBRE 2013 (VIDEO)

Unoduetreblog del 29/11/2013 attualità



Dall’amicizia con il ministro Clini alle raccomandazioni di Vendola così funzionava il Sistema Ilva

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Da La Repubblica del 29/11/2013.CARLO BONINI GIULIANO FOSCHINI attualità

Tutte le telefonate (intercettate) di Archinà a politici e sindacalisti
L’inchiesta.

TARANTO— Nessuno può dirsi innocente di fronte ai veleni dell’Ilva. Nel triangolo Taranto- Roma-Milano, tutto e tutti hanno avuto un prezzo. Non necessariamente economico. Tutto e tutti ne sono irrimediabilmente rimasti sporcati e dunque prigionieri. Nei trentuno faldoni di atti e nelle 50mila intercettazioni telefoniche dell’inchiesta della Procura di Taranto depositati in questi giorni e di cui Repubblica è in possesso, è la prova documentale che il Sistema Riva e il capitalismo di relazioni di cui è stato espressione hanno appestato, insieme all’aria, all’acqua, al suolo di Taranto, il tessuto connettivo della politica, della pubblica amministrazione, dei controlli a tutela dell’ambiente e della salute. A Girolamo Archinà, il Rasputin dei Riva, l’ex onnipotente capo delle relazioni esterne Ilva da qualche giorno tornato libero dopo un anno e mezzo di carcere, si sono genuflessi nel tempo segretari di partito, ministri della Repubblica, arcivescovi, sindacalisti, giornalisti. Ascoltarne la voce chioccia al telefono mentre blandisce, lusinga, minaccia i suoi interlocutori, dà la misura di quanto estesa, profonda e antica fosse la rete che ha consentito di collocare l’acciaieria in uno stato di eccezione permanente.
A DESTRA E A SINISTRA
Il cuore e il portafoglio dei Riva battono a destra. Da sempre. Dagli anni 2004-2006. È di 575mila euro il finanziamento a Forza Italia, di 10mila quello a Maurizio Gasparri e di 35mila quello all’ex governatore della Puglia e poi ministro Raffaele Fitto. Uomo cui la famiglia è particolarmente grata per aver ritirato, il giorno prima della (unica) sentenza di condanna, la costituzione di parte civile della Regione nei confronti dell’Ilva, consentendo un risparmio di qualche milione di euro. Ma il capitalismo di relazioni impone di scommettere anche sui cavalli di altra sponda.
«Bersani? Si sentono tutte le settimane», assicura Archinà a chi lo avvisa di un interesse dell’allora segreterio del Pd ad un contatto con la famiglia Riva (che per altro ne ha finanziato la campagna elettorale del 2006 con 98 mila euro). Quel Pd, il cui deputato Ludovico Vico eletto a Taranto, è telecomandato come un uomo azienda. E anche con il governatore della Regione, Nichi Vendola, che pure sarà l’unico alla fine a battezzare due leggi contro i fumi dell’Ilva, è un salamelecco di “auguri sinceri” per le feste comandate, attestati di stima. Non solo nella telefonata ormai nota in cui si ghigna della protervia nell’azzittire un giornalista petulante e per la quale Vendola ha fatto pubblicamente ammenda. Ma anche in un’altra conversazione in cui Archinà si offre di fare da “mezzano” per un incontro tra il governatore e l’allora presidente di Confindustria Marcegaglia («Così diamo uno scossone al centro-destra»), cogliendo l’occasione per sollecitare un intervento «caro ai Riva» sulle nomine all’autorità portuale di Taranto. Non esattamente il core business dell’acciaieria.
«Apriamo gli occhi sull’autorità portuale di Taranto», dice Archinà a Vendola. Che risponde: «L’ammiraglio va bene. Non è un ladro. E’ una persona sobria e seria. Siccome è di destra, ho detto al ministro: “È uno vostro, ma è una persona per bene. Niente da eccepire». Ma il problema di Archinà non è «l’ammiraglio». È impedire la nomina di tale Russo, «sponsorizzato dal traditore Michele Conte». «Lei lo sa — insiste con il governatore — che Conte è passato coordinatore cittadino del Pdl?». Vendola conviene: «Michele Conte, mamma mia. Uno raccomandato da tutti. Dalle organizzazioni per la liberazione della Palestina ai gruppi comunisti estremisti. Noi abbiamo il potere di fare bene, ma il ministro ha quello di fare le scelte. Comunque grazie di questa informazione ».
“IL NOSTRO AMICO CORRADO”
Non c’è ente locale o ministero dove Archinà e i Riva non possano arrivare. Dove non si inciampi in «un amico». Come all’Ambiente, dove Corrado Clini, allora direttore generale e futuro ministro del governo Monti, architetto dell’Aia che assicurerà la sopravvivenza dell’acciaieria, viene rappresentato come uomo a disposizione. «Stamattina ho visto per altri motivi il nostro amico Corrado — confida ad Archinà tale Ivo Allegrini del Cnr — Nel casino che adesso praticamente sta investendo il ministero dell’Ambiente, ho praticamente un’opportunità. A Corrado hanno dato la delega che danno pure ad altri direttori generali no! Allora mi ha detto: “Fatemi una
nota del casino che sta succedendo giù a Taranto, poiché nel limite del possibile io cerco di rimettere le cose in sesto». Una solerzia che troverebbe spiegazione — per quanto si ascolta in una seconda telefonata tra Allegrini e Archinà — in qualcosa che «sta a cuore a Clini in Brasile» e per la quale «è necessario un passaggio con i Riva».
QUEL LIBRO CON RAVASI
Già, nel Sistema Riva niente si fa per niente. Anche con gli uomini di Chiesa. Come quando don Marco dell’Arcivescovado di Taranto bussa a quattrini per la presentazione di un libro cui presenzierà Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per i Beni culturali. «Su cosa mi devo sbilanciare?», chiede Archinà. «La sponsorizzazione totale costerà 25mila — fa di conto don Marco — E l’impresa Garibaldi ha detto che vuole contribuire per 7-8 mila. Va bene?». Naturalmente va bene. Come vanno bene i sette assegni da 15mila euro l’uno staccati alla Curia e all’Arcivescovo Monsignor Benigno Papa per rendere più liete le feste comandate e far tacere sui veleni dell’acciaieria.
IL RAGAZZO BRUNO DI AVETRANA
Del resto, per i Riva comprarsi le indulgenze sembra facile quasi quanto scegliersi i sindacalisti. E per giunta, Archinà non deve neppure chiedere. «Senti Girolamo — gli spiega al telefono Daniela Fumarola della Cisl — siccome io sto lavorando sul nuovo gruppo dirigente della Fim, mi fai sapere qualcosa rispetto al ragazzo, al delegato nostro alla Rsu, aspetta come si chiama.. quello di Avetrana.. ora mi salta il nome.. un ragazzo bruno con gli occhi neri, è giovane.. Io ce l’ho sempre a mente perché è una cosa che ti devo chiedere e ora mi è sfuggito il suo cognome. Praticamente io devo fornire indicazioni anche alla segreteria nazionale su chi puntare per il dopo Lazzaro».
UN REGALO DI GOVERNO
Non deve sorprendere, allora, che anche dati per politicamente e industrialmente morti, i Riva continuino a incassare i dividendi del loro sistema di relazioni. Ancora oggi e con un nuovo governo. È diventata recentemente legge dello Stato il decreto voluto dai ministro del governo Monti, Balduzzi (sanità) e Clini (Ambiente) sulla valutazione del danno sanitario per i cittadini di Taranto. Norme che, di fatto, di qui al 2017, lasceranno che i cittadini di Taranto, soprattutto gli abitanti del quartiere Tamburi, continuino ad ammalarsi di cancro senza che questo obblighi l’Ilva a modificare il proprio livello di emissioni. Il governo ha infatti accettato di congelare la valutazione del possibile danno sanitario alla popolazione basandosi sulle rilevazioni dei veleni liberati dall’Ilva in questa fase di produzione limitata. Peccato che, già da oggi, l’azienda sia autorizzata ad aumentare la sua produzione fino a 8 milioni di tonnellate di acciaio. Dice Giorgio Assennato, direttore generale dell’Arpa Puglia, «Il Rompicoglioni», come lo aveva battezzato Fabio Riva: «È un omicidio di Stato. Identico, nella sostanza, a quello già autorizzato dal ministro Prestigiacomo nel 2011». Contro la legge, Assennato e la Regione hanno presentato ricorso. E non sono gli unici a pensarla così. Un dirigente del ministero dell’Ambiente, in una recente riunione con l’Arpa, ha riassunto così il senso dell’ultimo regalo ai Riva: «È come quell’uomo che si getta dalla cima di un grattacielo alto cento metri e che, arrivato al sesto piano, dice: “Fino a qui, tutto bene”».

Le vedove inconsolabili (Marco Travaglio).

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Da Il Fatto Quotidiano del 28/11/2013. Marco Travaglio attualità

La vignetta di Vauro, con il tappo dello champagne che fa plif, rende bene l’idea dell’insod – disfatta soddisfazione di chi l’altroieri avrebbe dovuto esultare per la liberatoria, ancorché tardiva, cacciata di Berlusconi da un Parlamento in cui non avrebbe mai dovuto mettere piede. Eppure è come se gli Evviva ci fossero rimasti strozzati in gola. Non parliamo dei parlamentari del centrosinistra che, salvo rare eccezioni, hanno sempre e fino all’ultimo lavorato per lui, riportandolo al potere dopo la scoppola elettorale di febbraio, rieleggendo con lui Napolitano, facendo scegliere a lui il premier Nipote e manomettendo con lui l’articolo 138 della Costituzione in attesa di scassarne con lui tutta la seconda parte, e ora fischiettando fanno finta di non averlo mai conosciuto. Parliamo di chi l’ha combattuto davvero, sempre, irriducibilmente, senza mai votarlo né rinunciare a contestarlo anche in piazza. E ora sente il retrogusto amaro della vittoria mutilata. I motivi sono tanti, ma ne citiamo due. Primo: lo spettacolo horror di quella robaccia che si fa chiamare Nuovo Centrodestra e che Scalfari incredibilmente spaccia per la “nuova destra repubblicana”: se il futuro che ci attende sono gli Alfano, Schifani, Quagliariello, Cicchitto, Formigoni che una settimana prima della decadenza hanno morso la mano che li ha nutriti per vent’anni, tanto vale tenersi il puzzone: se non altro ha 78 anni e dura un po’ meno. Secondo: la lettura dei giornali finto-indipendenti, che han tenuto bordone al Caimano per vent’anni e ora che è decaduto, senza un briciolo di autocritica, gli saltano addosso con la violenza indecente di Maramaldo, pronti a balzare sul carro dei nuovi vincitori. Ma, siccome sotto sotto si vergognano, non rinunciano all’equazione cerchiobottista “berlusconismo uguale antiberlusconismo”. Per raccontarsi e raccontarci che chi non ha mai scelto da che parte stare fra legalità e illegalità, fra democrazia liberale e conflitto d’interessi, insomma fra guardie e ladri, sguazzando in mezzo al guado e ciucciando un po’ di qua e un po’ di là, non aveva tutti i torti. Basta leggere gli editoriali dei vari Battista, Folli e Polito, prefiche inconsolabili delle defunte larghe intese. Sono gli stessi che, per compiacere i loro editori e il santo patrono del Sistema, cioè Napolitano, due anni fa accreditarono la patacca di un B. convertito a statista che accettava bontà sua di dimettersi per sostenere il governo Monti in nome dell’interesse nazionale e della grandi riforme. Poi, quando un anno fa il noto responsabile staccò la spina a Bin Loden, si stracciarono le vesti, scoprendo di botto che era un irresponsabile. Subito si agitarono per mettere in guardia Bersani dall’allearsi con quei brutti ceffi di Di Pietro e Ingroia, e poi dal tentare approcci con quel putribondo figuro di Grillo. E quando nacque il governo Letta riattaccarono con la bufala della pacificazione nazionale e della riconversione di B. a statista per salvare la patria. Lui, vivaddio, coerente come non mai, pensava solo a salvarsi dalla galera. Infatti, quando il salvacondotto è sfumato, ha ristaccato la spina. E soli li ha lasciati, a maledire di nuovo la sua improvvisa, inaspettata irresponsabilità. Fa quasi tenerezza Pigi Ballista quando secerne sul Corriere tutto l’amaro stupore perché “Forza Italia ha legato indissolubilmente il suo futuro alla sorte parlamentare del suo leader” (e a chi doveva legarla, a Giovanardi?), “si ritira dal tavolo delle riforme istituzionali” (se Dio vuole, almeno quel pericolo pare scampato) e manda “al diavolo il paese” (perché, che altro aveva fatto dal ’94 a oggi?). E si domanda affranto “che fine ha fatto il senso di responsabilità giustamente sbandierato” con la rielezione di Napolitano. Dài, su, Pigi, non fare così: non ti ha detto niente la mamma? “L’idea di una persecuzione giudiziaria del leader” che tu scopri ora con due decenni di ritardo come “inaccettabile”, è la stessa che hai sempre propagandato su La Stampa, su Panorama , su Rai1 e infine sul Corriere . O dobbiamo ricordarti tutto noi? Molto commovente anche Polito: per lui il vero dramma non è un governicchio che non fa nulla e dunque ce lo terremo sul groppone per altri due anni. Ma il fatto che “si ricomincia” con la guerra “fra berlusconiani e antiberlusconiani”, tra “i falchi di qua e di là”, e lui non sa mai cosa mettersi: per lui chi ha sempre avuto torto e chi ha sempre avuto ragione sono la stessa cosa. Anche perché lui non lo sa proprio, cosa vuol dire avere ragione. Stefano Folli, sul Sole 24 Ore, trova “qualcosa di incivile nell’esultanza di chi riempiva i calici per brindare alla caduta del ‘nemico’”. Giusto: avrebbero dovuto listarsi a lutto per non imbarazzare la corte di paraculi e leccaculi che han tenuto in vita Berlusconi per vent’anni, non ne hanno mai azzeccata una e ora, anziché scavarsi una buca e seppellircisi dentro, ci spiegano come uscire dal berlusconismo col nipote di Gianni Letta e con tutti gli Alfanidi. Qualcuno evoca l’eterno trasformismo e gattopardismo italiota, come dopo il fascismo. Ma il paragone non regge: nel 1946 al governo andò De Gasperi, non il nipote di Starace con Ciano vicepremier.

Sprechi, la versione di Cota: “Ho il conto sempre in rosso IL GOVERNATORE DEL PIEMONTE A VERBALE NEGA GLI ABUSI SUI RIMBORSI SPESE

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Fatto Quotidiano 28/11/2013 di Andrea Giambartolomei attualità
Torino Non posso permanere in questa carica anche solo con l’ombra di un avvi- so di garanzia”. Il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota l’avviso di garanzia l’ha ricevuto, e ha ricevuto pure quello della conclusione delle indagini, ma lui resta al suo po- sto. Quella frase l’aveva detta l’11 gennaio nell’ufficio del pro- curatore capo di Torino Gian Carlo Caselli. Si era presentato spontaneamente insieme all’avvocato Domenico Aiello. Il motivo? “Si sta scatenando sui mezzi di informazione una specie di tritacarne in cui si rischia di finire tutti”. Ora il “tritacarne” è tornato in funzione e lui, in Giappone per impegni istituzionali, spera di sopravvivere. In quel pomeriggio di gennaio, in una sorta di comizio di due ore, Cota ha spiegato ai pm della “Rimborsopoli” piemontese (43i consiglieriindagati) chela sua attività politica è impronta- ta alla “riduzione dei costi della politica, nell’esigenza di conte- nere la spesa pubblica”. Tagli agli stipendi, donazioni mensili alla Regione per sette mesi, nes- sun telefono a carico dell’amministrazione né auto blu: “Non ho mai inteso la politica come strumento di arricchi- mento – ha detto -. Potete guardare la mia situazione patrimoniale ed estratti conto che sono perennemente in rosso”. Aveva aggiunto che “se un politico de- ve proporre la chiusura di ospe- dali non può, allo stesso tempo, vivere nel dubbio di apparire come uno che approfitta per sé della sua posizione politico-isti- tuzionale”. EPPURE IL NUCLEO tributario della Guardia di finanza di To- rino, setacciando gli scontrini, ha trovato 25.410,66 euro di spese dubbie, soldi che doveva- no servire al gruppo regionale della Lega e invece sono serviti ad altro. I finanzieri hanno accertato che per 115 volte Cota è stato incongruente: alcuni scon- trini sono stati emessi in luoghi n cui lui non c’era. Perché? “Non curavo in prima persona i meccanismi di rimborso, né mi curavo delle modalità di rimborso per missioni”, ha detto l’11 gennaio. Poi il 16 aprile, do- po l’avviso di garanzia per pe- culato, ètornato davantial pro- curatore aggiunto Andrea Be- coni e ai sostituti Enrica Gabetta e Giancarlo Avenati Bassi. Ha dovuto spiegare, ad esempio, che tipo di spesa fosse il pranzo del giugno 2010 alla trattoria “Celestina”a Roma, zona Pario- li, insieme a Francesco Giorgino, conduttore del Tg1: “Faccio politica non solo in Piemonte – ha risposto – Mi muovo in quantouomopolitico anchealivello nazionale”. Che dire dei regali per le nozze dell’assessore regio- nale Michele Coppola o per quelle del vicepresidente del consiglio comunale di Torino Silvio Magliano? “Ho pensato di fare un regalo di rappresentanza come uomo politico”. Tra le spese compaiono pure una custodia per l’iPad, un portafoto, un caricabatterie, 530 euro di foulard per portavoce e cravatte per collaboratorie autisti,1.500 euro in penne da donare in oc- casioni ufficiali, un libro antico per Giulio Tremonti e ancora molti ristoranti e bar. Ha detto che ai doni e agli scontrini ci pensava la sua se- gretaria, Michela Carossa, figlia di Mario, capogruppo leghista al Con- siglio regionale, pure lui è indagato. “È anche successo che per sbaglio abbia dato alla mia se- gretaria degli scontrini non inerenti all’attività politica e la mia segreta- ria in qualche caso non li ha scartati”, ha detto Cota addebitandole al- cuni errori. Resta il fatto che per le spese per- sonali del governatore, cene e regali, non bastano i circa 14 mila euro di stipendio mensile (in cui sono compresi 4.500 euro di rimborsi per l’eserciziodi mandato). Tolte le imposte e le rite- nute, gli restano circa ottomila euro. “Per fortuna mia moglie lavora, altrimenti saremmo in bancarotta”, aveva detto.

L’uomo che uccise Kennedy

Fonte Luogocomune.net del 28/11/2013 di Massimo Mazzucco attualità


In tutti i grandi complotti della storia, una delle argomentazioni più spesso usate dai difensori delle versioni ufficiali è che “un complotto di queste dimensioni coinvolgerebbe migliaia di persone, e quindi prima o poi qualcuno parlerebbe”.
Ma poi, quando qualcuno davvero parla, gli stessi difensori delle versioni ufficiali fingono di non sentirli.
E’ il caso dell’assassinio Kennedy, dove addirittura l’uomo che uccise il presidente americano ha confessato il proprio gesto davanti alle telecamere – più di dieci anni fa – ma viene sistematicamente ignorato dai media mainstream. Perchè è bello poter dire che “forse a Dallas ci fu un complotto”, ma guai a trovarsi davvero di fronte alla verità! – See more at: http://www.altrainformazione.it/wp/2013/11/27/luomo-che-uccise-kennedy/#sthash.RNqWNEvG.dpuf