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DRESDA: MORTE DALL’ALTO

Dresden gedenkt der Zerstoerung der Stadt vor 68 Jahren
Fonta Comedonchisciotte 4/03/2013 DI TOM SUNIC attualità
theoccidentalobserver.net

Quella che segue è la traduzione del mio discorso in tedesco, tenutosi il 13 Febbraio 2013, verso le ore 7.00 del mattino, nel centro di Dresda. La commemorazione delle vittime di Dresda del 13 Febbraio 1945, è stata organizzata dalla “Aktionsbündnis gegen das Vergessen” (comitato d’azione contro l’oblio), da deputati del NPD, Partito Nazionaldemocratico Tedesco, e da funzionari del consiglio regionale di Dresda. C’erano 3.000 dimostranti antifascisti di sinistra. La città era sotto assedio, cordonata in sezioni da 4.000 poliziotti in tenuta antisommossa. La mole dei partecipanti nazionalisti, approssimativamente 1.000, arrivati in precedenza alla stazione centrale, era stata divisa, ed era stato impedito che si unisse al nostro gruppo nel luogo d’incontro iniziale. Verso le 23.00, quando l’evento era praticamente finito, i poliziotti antisommossa consentivano al nostro piccolo gruppo di organizzatori e relatori di oltrepassare le barricate verso la stazione centrale. Eravamo circa una quarantina – perlopiù funzionari locali del NPD. Il 14 Febbraio, ho fornito maggiori informazioni come ospite nello show radiofonico di Deanna Spingola.

Bombardamenti per la pace

Dresda è solo uno dei simboli dei crimini degli Alleati; simbolo discusso malvolentieri dai politici dell’ establishment. La distruzione di Dresda, e le conseguenti vittime, vengono banalizzati dalla storiografia convenzionale e raffigurati come “danni collaterali nella lotta contro il male assoluto – il fascismo.” Il problema, tuttavia, risiede nel fatto che non ci fu solo il bombardamento di una singola Dresda, ma di innumerevoli altre Dresda sparse in molte parti della Germania e dell’ Europa in generale. La topografia della morte, segnata dagli antifascisti, è infatti una questione altamente problematica per i loro eredi.

Nell’odierna “lotta per la memoria storica”, non tutte le vittime godono degli stessi diritti. Alcune sono al primo posto della lista, mentre altre vengono fatte scivolare nel dimenticatoio. I nostri politici hanno un’aria indignata quando si tratta di erigere monumenti in memoria di popoli e gruppi etnici, specialmente di coloro che furono a loro volta vittime degli europei. Un crescente numero di giorni commemorativi e di risarcimenti economici spuntano sui nostri calendari. Di volta in volta le istituzioni europee ed americane pagano tributi a vittime non europee. Raramente, quasi mai, essi commemorano vittime delle loro stesse nazioni, che hanno sofferto sotto regimi comunisti e liberali. Gli europei e in particolare i tedeschi sono visti come perpetratori del male, e pertanto obbligati a continui rituali di espiazione.

Dresda non è soltanto una città tedesca, o il simbolo di un destino tedesco. Dresda è anche il simbolo universale delle innumerevoli città tedesche, ungheresi, croate, italiane, belga, francesi, bombardate dagli Alleati occidentali. Ciò che mi collega a Dresda, mi collega anche a Lisieux, luogo di pellegrinaggio francese, bombardato dagli Alleati nel Giugno del 1944. Lo stesso per Monte Cassino, meta di pellegrinaggio italiana, bombardata dagli alleati nel Febbraio del 1944. Il 10 Giugno 1944, a Lisieux, una piccola cittadina dedicata a Santa Teresa, 1200 persone persero la vita, il monastero benedettino fu raso al suolo, mentre venti suore erano al suo interno. Per fare una lista delle antiche città europee distrutte dai bombardamenti ci sarebbe bisogno di un’intera biblioteca -a patto che questa biblioteca non sia stata bombardata dai paladini del progresso, e che i documenti al suo interno non siano stati confiscati.

In Francia, durante la seconda guerra mondiale, circa 70.000 civili trovarono la morte sotto bombe democratiche anglo-americane, cifra menzionata con riluttanza dagli storici convenzionali. Dal 1941 al 1944, 600.000 tonnellate di bombe vennero sganciate sulla Francia; 90.000 edifici ed abitazioni distrutti.

Le istituzioni parlano spesso di “cultura” e “multi-cultura”. Eppure i loro predecessori delle forze armate si distinsero per la distruzione di diverse capitali europee della cultura. Chiese e musei europei dovettero essere distrutti, alla luce del fatto che tali luoghi non rientravano nella categoria della cultura umana. Spostandosi a sud, a Vienna, nel marzo del 1945, il Burgtheater fu bersaglio dei bombardieri americani; ad est dell’Italia settentrionale, il teatro dell’opera “La Scala” di Milano fu bombardato, così come centinaia di biblioteche in tutta l’ Europa centrale. Un pò più a sud, in Croazia, le antiche città di Zadar e Split vennero bombardate nel 1944 dai portatori della pace; uno scenario dell’orrore senza fine. Il centro culturale di Zadar, sulla costa adriatica, fu bombardato nel 1943 e nel 1943. Politici e turisti tedeschi, sono soliti andare in vacanza sulle coste croate; eppure proprio su quelle stesse coste si trovano numerose fosse comuni di soldati tedeschi. Sull’isola croata di Rab, dove ai nudisti tedeschi piace passare il tempo, vi è un’enorme fossa comune contenente i resti di centinaia di tedeschi uccisi dai comunisti Jugoslavi. I diplomatici tedeschi in Croazia, non hanno mostrato alcuno sforzo per far costruire monumenti a quei soldati martoriati.

Recentemente, la cosiddetta comunità democratica ha mostrato grande interesse nei confronti della pulizia etnica e della distruzione della Ex-Jugoslavia. Essa è stata anche piuttosto occupata a portare davanti alla giustizia del tribunale dell’Aia i criminali Serbi e Jugoslavi. Eppure questi ultimi, avevano avuto i loro modelli ispiratori già nei loro predecessori comunisti e negli alleati anglo-americani. Tra il tardo 1944 e l’inizio del 1945, ebbero luogo numerosi atti di pulizia etnica nei confronti dei tedeschi nelle aree comuniste della Jugoslavia. Nel Maggio del 1945 centinaia di migliaia di croati in fuga, perlopiù civili, si arrendevano agli alleati inglesi vicino Klagenfurt, nella Carinzia meridionale, solo per poi essere consegnati, nei giorni seguenti, ai banditi comunisti Jugoslavi.

Potrei parlare per ore dei milioni di tedeschi evacuati dalla Slesia, la Pomerania, dai Sudeti e dalla regione del Danubio. In ragione del fatto che tali oppressi non rientrano nella categoria dei criminali comunisti, non li includerò nella cerchia dei cosiddetti “portatori di pace” occidentali. Col senno di poi, comunque, si può osservare che tali promotori della pace, non avrebbero mai portato a termine il loro compito senza l’aiuto dei criminali comunisti, i cosiddetti anti-fascisti. Chiaramente, la più grande migrazione di massa della storia europea, dall’Europa centrale a quella orientale, fu opera dei comunisti e dell’Armata Rossa, ma i loro enormi crimini contro i civili tedeschi, e contro le altre nazioni europee, non avrebbero mai avuto luogo senza l’aiuto dei paladini del progresso occidentali. Ebbene, si è alle prese con due versioni diverse, quando si parla di commemorare le vittime della Seconda Guerra Mondiale.

Cosa passava per la testa degli Alleati durante i raid aerei sulle città europee? I piloti avevano di certo la coscienza a posto, poiché sentivano di stare portando avanti una missione democratica in nome di Dio. Le loro incursioni distruttive venivano condotte in nome dei diritti umani, della tolleranza e della pace globale. Sulla base del loro approccio messianico, giù in Europa centrale – per non parlare di Dresda – non vivevano esseri umani, ma mostri senza cultura. Di conseguenza, per rimanere fedeli al dogma democratico, quei samaritani dell’aria, mantennero sempre pulita la propria coscienza mentre bombardavano i mostri al di sotto.

Come ci insegna il grande esperto tedesco di giurisprudenza internazionale, Carl Schmitt, c’è un grave problema nel mondo giuridico odierno e nelle idee sui diritti umani. Non appena qualcuno addita un proprio nemico come “mostro”, o come “insetto”, i diritti umani cessano di essere applicati a quest’ultimo. E’ questa la componente principale del Sistema moderno. Allo stesso modo, se un intellettuale europeo, un accademico, o un qualsiasi giornalista mette in discussione tali aspetti del Sistema, corre il rischio di essere bollato come un “radicale di destra”, un “fascista” o addirittura un “mostro”. In quanto mostro, egli non è più umano, e pertanto non gode più del diritto di proteggersi da tali ideologie sui diritti umani. Egli viene ostracizzato, e professionalmente messo a tacere. Oggi il Sistema si vanta della sua tolleranza nei confronti di ogni popolo ed ogni nazione sulla faccia della Terra, ma non nei confronti di coloro precedentemente identificati come mostri, estremisti dell’ala destra, o fondamentalisti. Agli occhi dei paladini del progresso, i civili tedeschi che si trovavano in questa situazione nel Febbraio del 1945 non erano esseri umani, ma strane forme di insetti che bisognava annientare, assieme alla loro cultura materiale. E’ tale mentalità che incontriamo oggi tra i cosiddetti benefattori dell’umanità, specialmente nel loro impegno in Iraq o in Afghanistan.

Veniamo spesso accusati di esagerare a proposito delle vittime di Dresda per sminuire i crimini fascisti. Tutto ciò non ha senso. E’ una tesi che può facilmente essere invertita. Gli storici convenzionali e gli opinionisti, 70 anni dopo la guerra, hanno bisogno di rinnovare continuamente l’idea del pericolo fascista, per insabbiare i loro catastrofici fallimenti economici e i loro stessi crimini di guerra.

Oltretutto, gli storici dell’establishment preferiscono non dirci che ogni vittima, nel Sistema multiculturale, è incline al conflitto; ogni vittima continua a lamentare la propria singolarità e a prosperare alle spese di altre vittime. Ciò, semplicemente, indica la debolezza del Sistema multiculturale, portando infine alla balcanizzazione, alla guerra civile, ed al collasso del Sistema. Un esempio: L’attuale atmosfera vittimistica dell’odierno Sistema multiculturale spinge ogni popolo, ogni comunità, ogni immigrato non europeo a credere di essere l’unico e il solo caso di oppressione importante. Si tratta di un fenomeno pericoloso, poiché ciascun oppresso si trova in competizione con l’altro. Tale mentalità vittimistica non può portare alla pace, bensì alla violenza multietnica e rende inevitabile uno scontro futuro.

Con l’odierna banalizzazione e negazione dei crimini liberal-comunisti nei confronti del popolo tedesco, inflitti prima, dopo e durante la Seconda Guerra Mondiale, non può esserci alcun clima di reciproca comprensione e riconciliazione, ma solo un’atmosfera di falsi miti e vittime in conflitto le une con le altre, per mezzo della quale ognuno si sente vittima del proprio vicino.

L’esempio per eccellenza è il collasso dell’ Ex-Jugoslavia, uno stato artificiale nel quale per cinquant’anni diversi popoli sono stati vittime degli storiografi e della propaganda comunista, in cui il popolo Croato è stato demonizzato quale “Nazione Nazista”. Nel 1991, dopo la fine del comunismo, il risultato non fu la mutua comprensione tra etnie, ma il reciproco odio e una terribile guerra nella quale ciascuna parte chiamava l’altra “fascista”. Quello che ci aspetta qui nell’Unione Europea, non è una qualche esotica e multiculturale utopia, ma un ciclo di violenze e guerre civili in pieno stile balcanico.

Cari signore e signori, cari amici. Non cadiamo preda di illusioni. Dresda deve servire da segnale d’allarme contro tutte le guerre, così come da luogo di commemorazione per le vittime innocenti. Eppure Dresda potrebbe un giorno diventare simbolo di titaniche catastrofi. Cosa ci aspetta nei giorni a venire, lo si può già immaginare. Alcuni di voi, alcuni di noi, con una più lunga memoria storica, sanno bene che un’era è finita. L’età del liberalismo è finita da lungo tempo.
Brutti tempi ci aspettano.
Ma tali epoche imminenti offrono a tutti noi una possibilità.

Il dottor Tom Sunic (www.tomsunic.com) è stato professore di scienze politiche, e membro della direzione dell’ “American Freedom Party” (precedentemente American Third Position Party. E’ l’autore di Homo americanus: Child of the Postmodern Age (2007).

Fonte: http://www.theoccidentalobserver.net
Link: http://www.theoccidentalobserver.net/2013/02/dresden-death-from-above/
20.02.201

B. parla di inciucio e pensa alle sentenze (Antonella Mascali).

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Da Il Fatto Quotidiano del 28/02/2013

L’EX PREMIER INVOCA LA GRANDE COALIZIONE: “SERVE STABILITÀ”. MA IL SUO TARLO SONO LE UDIENZE IN ARRIVO.

Un governissimo Pdl-Pd. Lo mette in scena Silvio Berlusconi nel suo videomessaggio subliminale, via Facebook: “Non si deve partire dalle alleanze ma dalle cose da fare: riduzione delle spese, della pressione fiscale, conti in ordine e riforme istituzionali”. Il Cavaliere, ringalluzzito dal risultato elettorale che neppure i suoi sondaggisti gli avevano prefigurato, si erge a salvatore della patria a meno di 48 ore dalla ripresa dei suoi 3 processi a Milano che potrebbero arrivare tutti a sentenza entro la fine di marzo. “Nessuna forza politica responsabile”, prosegue, “può ignorare il valore della governabilita”.
SENZA MAI citarlo, critica il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani e detta la linea: “Ho sentito dei leader parlare di un vago programma su politica, legalità, elezioni, ceti più deboli. Non hanno mai pronunciato le parole tasse, crescita e sviluppo. Dove vivono? Si deve aprire la fase di alleggerimento fiscale”. Quasi scimmiottando Beppe Grillo, il 76enne Silvio Berlusconi, in politica da vent’anni , si rallegra “per il pensionamento di alcuni vecchi mestieranti della politica politicante (leggi Gianfranco Fini, ndr)” e anche per “la bocciatura senza appello dei tecnici”. Nessun attacco, stavolta, ai magistrati. Basta il direttore del Giornale di famiglia, Alessandro Sallusti: tornato a evocare il complotto giudiziario per “l’ingorgo di processi non casuale”. Ma 11 udienze in 23 giorni e 3 possibili sentenze sono il frutto della strategia del Cavaliere, e dei suoi avvocati-parlamentari, che hanno usato il legittimo impedimento, legato alla campagna elettorale, per scongiurare requisitorie e verdetti prima del voto. Da domani, però, a palazzo di Giustizia di Milano si ricomincia. A partire dal processo più insidioso, quello d’appello Mediaset-diritti tv. Berlusconi sarà in aula per dichiarazioni spontanee, poi ci sarà la requisitoria dell’avvocato generale, Laura Bertolè Viale. In primo grado il leader del Pdl è stato condannato, per frode fiscale, a 4 anni di carcere, a 5 di interdizione dai pubblici uffici e a 3 di interdizione da incarichi societari. La prescrizione è nella primavera del 2014, in tempo, dunque, per una sentenza definitiva della Cassazione. Le udienze successive, di sabato per evitare legittimi impedimenti connessi a impegni politici, saranno dedicate alle arringhe. La sentenza è prevista per il 23 marzo. In mezzo, altri appuntamenti giudiziari. Il 4 marzo riprende il processo Ruby con la testimonianza del pm dei minori Annamaria Fiorillo, Il 6, la Cassazione dovrà pronunciarsi sul ricorso della procura di Roma contro il proscioglimento per un filone Mediatrade-diritti tv. Il 7 marzo, per Silvio Berlusconi e il fratello Paolo è prevista la sentenza del processo per l’intercettazione segreta, pubblicata dal Giornale il 31 dicembre 2005, tra l’allora segretario dei Ds, Piero Fassino e il presidente di Unipol, Giovanni Consorte (“Allora abbiamo una banca?”). Per rivelazione di segreto d’ufficio, il pm Maurizio Romanelli ha chiesto per l’ex premier un anno e per il fratello (accusato anche di ricettazione e millantato credito) 3 anni e 3 mesi. L’8 marzo, al processo Ruby, il pm Ilda Boccasini dirà la richiesta di pena per concussione e prostituzione minorile . La sentenza è attesa per il 18 marzo, legittimi impedimenti permettendo.

Berlusconi, intanto, ha ringraziato chi lo ha votato: “Nel ‘94 ho detto: ‘L’Italia è il paese che amo’. È sempre commovente vedere come questo mio sentimento sia stato ancora una volta ricambiato”. Eppure nel 2011 a Valter Lavitola aveva detto: “Tra qualche mese vado via da questo Paese di merda”.

Quelli che l’avevano detto di Marco Travaglio 27 febbraio 2013 .

La consulenze d’oro di Formigoni “Cinquanta milioni spesi in tre anni per ricerche generiche o inutili” (Davide Carlucci).

corel

La consulenze d’oro di Formigoni “Cinquanta milioni spesi in tre anni per ricerche generiche o inutili” (Davide Carlucci)..

IL CONSULENTE: I FURBI DI PROFESSIONE HANNO GIÀ SPOSTATO I SOLDI IN ASIAL’ESPERTO DI PARADISI FISCALI

Fatto quotidiano 1/05/2012 Attualitàdi Giovanna Lantini
Tutte le strade alternative mi sembrano sbarrate”. Mario
Rossi, fiscalista di un importante studio tributario attivo sul territorio nazionale che ha chiesto l’anonimato, risponde alla nostra telefonata ancora immerso nei suoi ragionamenti sui risvolti degli ultimi accordi bilaterali siglati dalla S v i z z e ra .
LA CATEGORIA,che ancora attende lumi sullo scudo-bis, è infatti in gran fermento e vuole vederci chiaro per essere pronta a rispondere alle domande dei clienti nell’eventualità che anche l’Italia si decida a percorrere la strada di un’intesa che, secondo le stime, potrebbe portare nelle casse dello Stato fino a 50 miliardi di euro prelevati dai capitali svizzeri dei nostri concittadini. Senza lasciare grandi vie di fuga agli evasori che hanno scelto i forzieri della Confederazione elvetica che, nel caso italiano, dopo l’ultimo scudo, appartengono principalmente a tre categorie. “Chi è rimasto in Svizzera è lì dagli anni settanta, quando c’è stata l’ondata di trasferimenti di capitali oltreconfine per motivi diciamo politici, cioè per mettere i propri soldi in un posto sicuro e vicino casomai succedesse qualcosa in Italia – ricorda l’esperto –. Poi c’è chi temeva l’anonima
“L’Italia deve sbrigarsi a siglare l’a c c o rd o , p o t re b b e o t t e n e re condizioni peggiori”
sequestri e ha aggirato il congelamento dei beni in caso di rapimento di familiari. Infine, ci sono gli evasori imperterriti, ma questa è gente che si è già spostata altrove, i più in Asia. Chi, invece, voleva riportare i suoi soldi in Italia ha avuto lo scudo e se lo facesse ora non se la passerebbe bene”.
Q UA N TO al percorso inverso, gli accordi che la Svizzera sta firmando non prevedono l’ingresso di nuovi capitali non dichiarati. Le strade si stanno quindi per chiudere sia in entrata che in uscita. “L’unica alternativa sarebbe andarsene dalla Svizzera, ma dove? Nei vari paradisi fiscali sparsi per il mondo non puoi prevedere con un buon margine di sicurezza che cosa succederà. E comunque andarsene ora non è fa c i l e ”. Le banche svizzere, infatti, non hanno nessun interesse a perdere i clienti e gli accordi che la Confederazione ha stipulato sono il meno peg-io o, a seconda delle prospettive, il meglio che si potesse ottenere per soddisfare tutte le parti. Quindi da una parte chi resta in Svizzera non dovrebbe avere nuovi vantaggi oltre al mantenimento del segreto bancario, né subire un aggravio d’imposta dopo aver sanato e i capitali rimasti continuerebbero a subire una tassazione sui redditi prodotti in loco che dovrebbe essere in linea con quella sugli investimenti
e tasse non pagate per tutti gli anni passati (ovviamente questa ipotesi è concepita in modo così poco allettante da non spingere nessuno a sceglierla). Terza opzione, quella che tutte le parti interessate caldeggiano: il pagamento anonimo della tassa. La banca verifica la nazionalità del beneficiario delle attività che detiene (anche se si tratta di un trust o di altri tipi di schermi giuridici), poi preleva dal conto la penale prevista dalle formule contenute negli accordi bilaterali – tra il 21 e il 41 per cento per i tedeschi, tra il 19 e il 34 per gli inglesi, tra il 15 e il 38 per gli austriaci – e versa la somma al governo di Berna che, a sua volta, la passerà allo Stato interessato. In teoria tutto questo sarebbe già previsto dalla direttiva 2003/48, in vigore dal 2005, ma non ha mai funzionato: la Svizzera si impegnava ad applicare una ritenuta del 35 per cento sui rendimenti maturati nei suoi confini da cittadini dell’Unione europea, poi versava il 75 per cento del gettito ai Paesi di competenza. Le somme raccolte sono state ridicole, perché era troppo facile aggirare i vincoli. Per questo sono arrivati gli accordi bilaterali. Dopo la sanatoria sul passato, un
41%
L’ALIQUOTA CHE PAGANO I TEDESCHI PER REGOLARIZZARE
all’estero. “Anzi, non sono pochi quelli che temono di più a restare in Italia, dove le nuove tasse sono sempre dietro l’ango l o ”. Dal canto loro (e a proprio vantaggio) le banche svizzere si sono impegnate a non assistere chi decide di spostare i capitali per non correre rischi: ai clienti suggeriscono di aspettare e pagare e con chi non si lascia convincere fanno resistenza passiva senza offrire vieembra che stia prendendo strada la strategia di trattenere in anticipo l’ammontare dell’eventuale una tantum in vista dell’estensione degli accordi ad altri Paesi dell’Unione a chi avvia le pratiche per il trasferimento dei propri capitali alt rove ”.
INSOMMA, vie di fuga sembrano davvero non essercene. A meno che non ci si metta il gover no. “È chiaro che chiusi gli accordi con Germania, Austria e Gran Bretagna, la Svizzera non offrirà grandi margini agli altri Stati per spuntare di più. Anzi, chi tra i Paesi arriverà dopo, potrebbe ottenere delle condizioni peggiori, quindi all’Italia conviene accelerare. Forse si pensava di ottenere di fare meglio e di più confidando in una maggiore pressione da parte dell’Unione europea. Dimenticando, però, che la Svizzera è un partner troppo importante per l’Europa” alternative. Non solo. “O ra

Crisi Grecia 2012. Nigel Farage sulle proteste -Scontri Atene 2-2012 Politica fuori dalla realtà

Redazione
Nigel Farage che in un intervento al parlamento Europeo aveva attaccato la Germania sulle questione di sovranità sull’Italia, parla delle proteste in Grecia e delle manipolazioni poitiche

L’insostenibile indebitamento dell’essere oltre 40 suicidi tra gli imprenditori (ma lo sviluppo?)


redazione
In un paese dove l’imprenditoria è allo stremo e il governo monti fa finta di di far figurare in un governo equo (ma mi pare sopratutto a favore delle banche) e sempre in attesa di manovre di sviluppo, con l’economia attuale uno può andare a fare il cravattaio se ha i soldi o a prostitursi.
Nel frattempo gli imprenditori continuano a suicidarsi siamo arrivati a 40.

Ieri si è suicidato l’ennesimo imprenditore – sono oltre 40 dall’inizio dell’anno – stretto fra le formidabili tenaglie del credit crunch e impossibilitato a far fronte ai debiti. Per loro, la politica non ha orecchie. Le loro richieste giacciono inascoltate sugli scaffali polverosi dei ministeri. Ma se il Presidente dell’Abi reclama il risanamento di una norma che (normalizzando le banche italiane rispetto a quelle del resto del mondo) azzera le commissioni sui conti corrente provocando al sistema bancario 10 miliardi di perdite, allora i politici saltano in piedi tra i banconi delle aule alla disperata ricerca di una soluzione. E la soluzionela soluzione del governo

Dieci flessioni, sacco di merda! (di Claudio Messora)


I pensionati sbarcano il lunario privandosi del latte. Gli imprenditori si suicidano. Tutti faticano ad essere ascoltati dalla politica, che si occupa di altro. Tutti, tranne i padroni di casa: le banche. Non si è mai visto che una norma di un decreto legge venisse definita da qualcuno “un incidente che non si deve più ripetere”. Eppure Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, ha definito l’azzeramento delle commissioni bancarie (voluto dal PD e non da Monti) esattamente in questo modo.

Immediatamente Pd, Pdl e Governo si sono messi “a disposizione”. Non sanno ancora come (non vogliono fare una figura di merda con i cittadini) ma devono rimediare. Quando l’ABI chiama, il Parlamento scatta in posizione eretta. Forse l’unico caso in cui hanno la schiena dritta.

Il Pd aiuta le banche piagnone.(le solite sceneggiate all’Italiana)

Redazione
E qui siamo ai soliti teatrini all’Italiana Monti attraverso Passera e la Banca D’italia che ha richiesto r di controllare dividendi e bonus, e questa appare una sceneggiata per far credere che non è un governo di banchieri, infatti arriva il Pd il partito infernmiere soccorendo le banche ovviamente (nel quale ovviamnte non hanno interessi viste la quantità di fondazioni fantasma) ma quando la finiranno di dar lavoro ai comici?

Il Pd aiuta le banche piagnone..

L’EXPORT DEL LAVORO Delocalizzazione: in due anni bruciati 34 mila posti Il 13,5% delle aziende trasloca oltre confine


Redazione
L’alto livello di corruzzione, un tassazione e una burocrazia esasperata, delle infrastrutture pubbliche che non si sono adeguate ai canoni europei, le banche che non prestano soldi alle imprese nonostante le forti sovvenzioni della Bce fanno si che L’Italia non interessa agli investitori.
E dire che del decreto delle liberalizzazioni ci sono alcune azione sopratutto per agevolare l’economia ma a quanto pare si fa poco anche lì
decreto delle liberalizzazioni sveltimento-burocrazia-servizi-economici-e-commerciali
E inoltre ci sono paesi come la Svizzera che si sono atrezzate per accogliere le nostre imprese
perche molte pmi si trasferiscono in Svizzera

Dal Fatto Quotidiano 25/02/2012 di Salvatoe Cannavò
Sergio Marchionne ventila l’ipotesi di chiudere due stabilimenti Fiat in Italia che, evidentemente, sa-
rebbero sostituiti da produzioni all’estero. Non importa come e dove: non necessariamente negli Stati Uniti, ma magari in Serbia o in Cina. Pochi gli ricordano che negli ultimi dieci anni i posti di lavoro persi in Italia dal gruppo Fiat a causa del fenomeno delle delocalizzazioni sono stati ben 20 mi-
la. Cinquemila quelli dei call center altrettanti nella telefonia. Delocalizzazioni come quella della Omsa fanno perdere all’Italia 400 posti di lavoro, mentre la Dainese di Molveno, la casa delle tute sportive e motociclistiche che rifornisce anche Valentino Rossi, sposta tutto in Tunisia, dove impiega già 500 persone, salvando solo 80 lavoratori su 250. E poi, ancora, il caso di Bialetti, Omsa, Rossignol, Geox e la complessa situazione del nord-est dove il fenome-
no della delocalizzazione nei settori del tessile e abbigliamento e calzaturiero è stata devastante con le perdite, solo nel distretto tessile veneto (Verona, Vicenza, Padova e Treviso) di decine di migliaia di posti con un impatto sui piccoli laboratori artigiani che facevano da sub-fornitori alle imprese medio-grandi.
PRENDENDO come base della propria ricerca le imprese italiane dell’industria e dei servizi italiani con più di 50 addet-ti, l’Istat ha rilevato che nel periodo 2001-2006, circa 3.000 imprese, pari al 13,4 per cento delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno avviato processi di questo tipo. L’internazionalizzazione ha interessato maggiormente le imprese industriali (17,9 per cento) rispetto a quelle operanti nel settore dei servizi (6,8). Ad attirare di più le imprese italiane nel periodo 2001-06 è stata l’Europa, verso la quale si è indirizzato il 55 per cento delle imprese internazionalizzate. Nel resto del mondo si distinguono Cina (16,8) e Usa e Canada (complessivamente 9,7), seguiti da Africa centro-meridionale (5) e India (3,7). Le previsioni per il periodo 2007-09 segnalano invece una forte crescita degli investimenti in India, Africa e nei paesi europei extra Ue. Secondo i dati dell’European Restructuring Monitorprogetto che monitora i processi di ristrutturazione aziendale nei 27 paese Ue più la Norvegia, la percentuale di incidenza dei paesi asiatici è al 25 per cento. La motivazione fondamentale di questa scelta è scontata, la riduzione del costo del lavoro e degli altri costi di impresa. Nelle brochure di consulenti aziendali come la Pricewaterhouse si può leggere che le opportunità della delocalizzazione sono date dalla crescita dei paesi emergenti, dal formarsi di una nuova classe media, dallo sviluppo delle infrastrutture e dall’emergere di sempre nuovi paesi (non solo est europeo ma anche Asia, Cina, Vietnam e Thailandia).
iguardo all’impatto sui posti di lavoro, secondo i dati dell’Erm, il 6,4 per cento dei posti di lavoro persi in seguito a ristrutturazioni aziendali è “imputabile a iniziative di delocalizzazione”. Numero che, per il 2009-10 significa circa 34 mila posti persi. All’Italia va un po’ meglio di altri paesi europei che soffrono perdite maggiori: il 6,6 per la Francia, il 6,9 per la Germania e, addirittura, l’8,9 per cento per la Gran Bretagna. I comparti maggiormente colpiti sono quello tessile, l’abbi-
gliamento e calzaturiero, la meccanica e le apparecchiature, industriali e per ufficio, la meccanica elettrica e il settore automobilistico (la Fiat in Serbia insegna).
UN ULTIMO sguardo sul fenomeno lo offrono i dati dell’Istituto per il commercio estero secondo i quali il numero di investitori italiani (gruppi industriali o imprese autonome) attivi sui mercati internazionali.
ammonta a quasi 5.800 unità, per un totale di 17.200 imprese estere partecipate a vario titolo con un numero di dipendenti totali all’estero pari a 1.120.550 unità per un fatturato realizzato dalle affiliate estere nel 2005 di quasi 322 miliardi di euro. Per contro, le imprese italiane partecipate da società estere sono circa 7.000, con l’intervento di quasi 4.000 imprese investitrici, un totale di dipendenti in Italia di quasi