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SCANDALO AL NORD Dopo Bologna e Genova si muove anche la Procura di Reggio Emilia


Fatto Quotidiano 12/04/2012 redazione.it
Anche la Procura di Reggio Emilia (dopo quella di Bologna che ha aperto ieri un fascicolo conoscitivo a carico di ignoti) indaga per accertare la regolarità dei conti della Lega Nord Emilia, che ha sede a Reggio. A rendere ufficiale la notizia, il procuratore capo di Reggio Emilia Giorgio Grandinetti. Nel fascicolo ci sono già quattro indagati, non tutti
reggiani, su temi assimilabili a quelli delle inchieste aperte a Bologna e Milano. L’inchiesta è condotta dallo stesso Grandinetti, coadiuvato dal pm Stefania Pigozzi. Ieri in procura il numero due del carroccio emiliano, Marco Lusetti, espulso nel 2010 dal segretario regionale del partito Angelo Alessandri, aveva fatto visita al procuratore lasciando nelle mani del magistrato, dopo un
colloquio durato circa mezz’ora, un corposo plico di documenti. Vicende che sarebbero già state denunciate da Lusetti nell’estate del 2010, e che rinnoverebbero le accuse sulla gestione ‘allegra’ dei fondi del partito a causa delle quali fu espulso dal Carroccio. Alessandri, dal canto suo, ha già fatto sapere di non aver nulla da nascondere e di essere a disposizione dei magistrati.

SUICIDIO DI MASSA (Marco Travaglio).

SUICIDIO DI MASSA (Marco Travaglio)..

LA COMMEDIA DEL FANGO (Maurizio Crosetti). gli scandali nel calcio

LA COMMEDIA DEL FANGO (Maurizio Crosetti)..

“BELSITO USÒ I SOLDI PER LA VILLA DI BOSSI”.SI DIMETTE L’EX TESORIERE, BUFERA LEGA


Da Leggo.it Martedì 03 Aprile 2012 – 21:06 MILANO – Viaggi, alberghi e cene pagate sia ai figli di Umberto Bossi che all’ex vicepresidente del Senato e segretario generale del Sinpad, Rosy Mauro, con i soldi ottenuti per i rimborsi elettorali. È quanto emerge dalle intercettazioni disposte nell’ambito delle indagini condotte a Milano, Napoli e Reggio Calabria, su, fra gli altri, il tesoriere della Lega Francesco Belsito. Proprio quest’ultimo, secondo gli accertamenti degli investigatori, avrebbe utilizzato le somme ricevute come rimborsi elttorali per pagare soggiorni e cene ai figli del leader della Lega Nord e Rosy Mauro.

BELSITO SI DIMETTE Francesco Belsito ha rassegnato le dimissioni da tesoriere della Lega Nord. Lo si apprende da fonti del partito. Belsito è giunto in via Bellerio in serata, al termine di una giornata scandita dalle notizie sulle indagini giudiziarie nei suoi confronti. Il tesoriere del Carroccio è accusato di aver sottratto circa 18 milioni di euro in parte distratti a favore della famiglia di Bossi. Sul tesoriere indagano le Procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria. Le accuse vanno dal riciclaggio all’appropriazione indebita fino alla truffa ai danni dello Stato per aver sottratto denaro al partito e per presunte somme per rimborsi elettorali non dovuti. Le diverse perquisizioni, circa 30, messe a segno dagli uomini della Guardia di finanza e dei Carabinieri hanno anche riguardato l’abitazione del tesoriere. È circa un’ora che Belsito si trova nella sede di via Bellerio insieme al leader Bossi. Fin da stamane l’ex ministro dell’Interno e leghista Roberto Maroni aveva chiesto, così come altri esponenti del partito, un passo indietro da parte del tesoriere, mentre finora Bossi lo aveva ‘difesò. Ora anche dal leader del Carroccio arriva la decisione di ‘abbandonarè il tesoriere del partito.

SOLDI PER LA VILLA DI BOSSI Il tesoriere della lega Francesco Belsito, indagato a Milano per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato, avrebbe utilizzato parte dei fondi del partito per pagare i lavori di ristrutturazione della villa di Gemonio del leader del Carroccio Umberto Bossi. È quanto emerge, secondo indiscrezioni, dall’inchiesta milanese.

RENZO BOSSI: “NO COMMENT” Renzo Bossi, consigliere regionale e figlio del leader della Lega Nord Umberto, non ha voluto commentare le indagini nelle quali è coinvolto il tesoriere del Carroccio Francesco Belsito. Interpellato dai cronisti durante una pausa della seduta del Consiglio regionale, ha risposto con un «no comment».

PERQUISITO IL SINDACATO PADANO Gli uffici del Sinpa a Milano sono stati perquisiti dai carabinieri che hanno acquisito i bilanci del sindacato padano. Lo ha reso noto la legale Ivana Maffei. «Non abbiamo nulla da nascondere» ha detto la leader del Sinpa, Rosi Mauro. «Non c’entriamo con l’inchiesta di Napoli, non siano un partito», ha precisato l’avvocato Maffei.

PERQUISITA LA SEGRETARIA DI BOSSI Nell’ambito dell’indagine della Procura di Milano che vede indagato Francesco Belsito, tesoriere del Carroccio, sarebbero state effettuate perquisizioni ‘presso terzi’ anche nell’ufficio di via Bellerio di Daniela Cantamessa, una delle segretarie del leader Umberto Bossi, e nell’abitazione della donna.

BELSITO: “ACCUSE DOVRANNO ESSERE PROVATE” «Mi è stato consegnato un avviso di garanzia in cui si dice che il movimento Lega Nord è indagato per finanziamento illecito. Queste cose dovranno poi essere provate. Per adesso non possiamo dire altro». Lo ha detto Francesco Belsito all’uscita dalla sua abitazione, in via Fiasella, nel centro di Genova. Belsito è stato accompagnato in auto dagli investigatori che hanno effettuato la perquisizione nella sua abitazione. «Sto andando con loro per sbrigare le pratiche», ha detto a Telenord, che ha ripreso la scena. Alcuni agenti sono usciti dall’edificio con delle borse contenenti documenti presumibilmente sotto sequestro. «Non sono in grado al momento – ha commentato l’avvocato Paolo Scovazzi, legale di Belsito – di valutare il fondamento delle accuse. Devo ancora vedere il mio cliente».

“NON HO NULLA DA NASCONDERE” «Non abbiamo nulla da nascondere». Lo ha detto, oggi a Genova uscendo dall’abitazione accompagnato dai militari della Guardia di finanza il tesoriere della Lega nord Francesco Belsito, che ha ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla procura di Milano. «È arrivato un avviso di garanzia -ha precisato Belsito- in cui si dice che il movimento della Lega nord è indagato per finanziamento illecito». Per quanto riguarda i fondi della Lega nord inviestiti in Tanzania, Belsito ha precisato che «i fondi sono tornati dalla Tanzania più di due mesi fa. Dopo la bagarre fatta dai giornali

Vogliono toglierci il concorso esterno(Marco Travaglio)


L’espresso 23/03/2012 Marco Travaglio
Manifestazioni di connivenza e collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono – eventualmente – realizzare
condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili – a titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa “convergenza di interessi” col potere mafioso… che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonché, correlativamente, delle difficoltà incontrate a reprimerne le manifestazioni criminali».
Così scriveva Giovanni Falcone nella sentenza-ordinanza del processo “maxiter” a Cosa Nostra il 17 luglio 1987, plasmando la figura giuridica del concorso esterno in associazione mafiosa. Una bizzarria? No di certo. Il concorso esterno serve a definire il comportamento illecito di chi, pur non facendo parte dell’organizzazione criminale, se ne mette a disposizione e col suo contributo professionale la rafforza in uno scambio reciproco di favori. Reato tipico di medici, banchieri, commercialisti, impiegati, funzionari, agenti, 007, magistrati, avvocati, politici, imprenditori, sacerdoti al servizio di criminali organizzati.
LA PRIMA VOLTA che la Cassazione consacrò la validità del concorso esterno fu nel lontano 1875 a proposito del brigantaggio, confermando le condanne emesse dai giudici di Palermo contro alcuni colletti bianchi legati a un clan di briganti. Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, ai tempi del terrorismo, il concorso esterno fu impiegato nei processi alle Br. Intanto il pool di Palermo si imbatteva nei primi casi di borghesia mafiosa e cominciava ad applicarlo ai complici di Cosa Nostra: perlopiù esponenti del mondo delle professioni, perché dei politici i primi collaboratori di giustizia non volevano parlare (fuorché dei cugini Salvo e di Ciancimino, figure locali e tutt’altro che esterne, ma organiche alla mafia).
Nel 1984 Falcone chiese a Buscetta dei rapporti mafia-politica e quello rispose: «Dottore Falcone, se le dicessi determinate cose, finiremmo tutti e due al manicomio, io in quello criminale, lei in quello civile». Solo nel 1992, dopo Capaci e via d’Amelio, si decise a fare il nome di Andreotti (comunque processato per partecipazione diretta a Cosa Nostra, e dichiarato colpevole, ma prescritto fino al 1980). Da allora molti altri collaboratori parlarono di politici. I processi per concorso esterno dilagarono. E i giudici, che prima si contentavano di poco, innalzarono continuamente il livello di prova necessario per condannare un imputato eccellente, in una corsa al rialzo che non è mai finita e che l’altro giorno ha portato all’annullamento della sentenza Dell’Utri, fornita di prove autonome e poco dipendente dalle parole dei pentiti.
CHI CONTRAPPONE il “metodo Falcone” a quello di Caselli e Ingroia vada a leggersi il mandato di cattura del 1984 contro Nino e Ignazio Salvo: si basava esclusivamente sulle parole di Buscetta, secondo cui gli esattori erano «uomini d’onore» e l’avevano ospitato da latitante nella loro villa a Santa Flavia. E i riscontri? I giudici si fecero descrivere la villa, poi andarono sul posto, verificarono che la descrizione corrispondeva e i Salvo finirono dentro. E furono condannati per mafia. Il leggendario maxiprocesso a Cosa Nostra ruotava intorno alle parole di tre pentiti – Buscetta, Contorno e Calderone – che si riscontravano a vicenda («convergenza del molteplice»): 360 condanne. Oggi, con prove del genere, non si giungerebbe nemmeno a un rinvio a giudizio. Infatti le prove che avevano portato alla condanna di Dell’Utri in primo e secondo grado erano, al confronto, monumentali e schiaccianti. Poi è arrivato da Ravenna un sostituto Pg che ha sentenziato: «Al concorso esterno non crede più nessuno». E la Cassazione, presieduta da un allievo di Corrado Carnevale, ha annullato con rinvio a nuovo appello, a due anni dalla prescrizione. «In omaggio a Falcone», ha scritto qualcuno. Senza vergogna.

Moniti e pulpiti (Marco Travaglio).

Moniti e pulpiti (Marco Travaglio)..

IACOVIELLO, IL CSM FA QUADRATO.IL PG : “VILIPENDIO”Ma un consigliere influente dice:“Se c’è l’errore, merita un’indagine

Fatto Quotidiano 15/03/2012 di Marco Lillo
Vilipendio. Quando ieri la parola è risuonata nell’aula del plenum del Csm è stata chiara la direzione presa
dall’organo di autogoverno della magistratura: non fare nulla per evitare di infilarsi nel campo minato del caso Dell’Utri. Ieri il nostro giornale ha raccontato in prima pagina “le bugie della requisitor ia” del sostituto procuratore generale Francesco Iacoviello, quello che ha chiesto e ottenuto l’annullamento con rinvio della condanna contro Marcello Dell’Utri. Abbiamo dimostrato, carte alla mano, che il dottor Iacoviello ha accusato nella sua requisitoria erroneamente i giudici della Corte di Appello di Palermo di non aver mai citato nella motivazione del loro provvedimento la sentenza di Cassazione che ha annullato la condanna contro l’ex ministro Calogero Mannino. Peccato che nella sentenza di Palermo, la decisione sul caso Mannino fosse citata più volte per motivare la condanna del manager di Publitalia e anche per assolverlo per le accuse dal 1993 in poi. Ieri, il Consiglio Superiore della Magistratura si riuniva in seduta plenaria per parlar d’altro, ma nella rassegna stampa distribuita a ciascun consigliere spicca-
vano gli articoli del Fa t t o . Quando il procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, superiore di Iacoviello e titolare dell’azione disciplinare, ha preso la parola, qualche cronista ingenuo ha pensato “ora risponderà al Fa t t o ”. Invece Esposito ha preferito lanciarsi in una difesa del suo collega arrivando addirittura a invocare un reato che tutti pensavano fosse riservato alle offese del presidente della Repubblica piuttosto che alle legittime critiche sugli atti di un magistrato: il vilipendio. Il massimo esponente dell’uf ficio dell’accusa (che proprio per questo siede di diritto nel Consiglio Superiore della Magistratura) ha detto di aver “piena mente condiviso” le tesi di Iacoviello, “uno dei migliori magistrati, un professionista non permeabile a qualsiasi pressione”. Esposito ha espresso il suo “incondizionato appoggio” alla requisitoria del collega si è chiesto “se la libertà di espressione possa estendersi fino al vilipendio del magistrato”. Le parole di Esposito non sono state accolte con favore dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia: “Non mi pare – ha detto il pm che, con Domenico Gozzo, ha sostenuto l’accusa in primo grado – che i magistrati in questo caso siano andati oltre al di-
ritto di critica. Mi aspetterei, però, che come giustamente ha difeso Iacoviello da attacchi personali, Esposito faccia lo stesso per me e per gli altri magistrati in casi analoghi”. Nessun consigliere del Csm ieri ha accettato di rispondere alle domande poste del Fa t t o . Volevamo sapere per esempio se un magistrato dell’accusa – come Iacoviello – può sostenere una cosa grave e falsa sulle carenze di motivazione di un provvedimento scritto da tre colleghi. E ci chiedevamo se è rilevante dal punto di vista disciplinare o influente ai fini della valutazione un simile comportamento. Qualcuno ha risposto, ma solo sotto garanzia di anonimato.
“SE DAVVEROcome scrive il Fa t t o ”, dice il membro influente di una commissione del Csm che potrebbe occuparsi del caso, “Ia coviello ha detto una simile inesattezza nella sua requisitoria sulla mancata citazione della sentenza Mannino, effettivamente il Csm potrebbe occuparsene. La questione – prosegue il consigliere – potrebbe essere sottoposta all’attenzione della prima commissione, che si occupa delle doglianze sui magistrati, o della quarta commissione che si occupa della loro valutazione. Vedo più difficile che se ne oc-
cupi la sezione disciplinare perché – prosegue il consigliere – non mi sembrano nemmeno astrattamente ravvisabili i presupposti. Comunque – conclu de il consigliere – se le cose stanno come dice il Fatto è astrattamente possibile che questa presunta svista di Iacoviello finisca nel suo fascicolo ad opera della Quarta commissione, ma solo dopo avere sentito la sua versione dei fatti. Bisogna però che prima ci sia un consigliere che sollevi il caso e che il consiglio lo valuti degno di attenzione. Non basta certo l’articolo del Fa t t o ”. Ieri, però, nessun consigliere aveva la minima intenzione di sollevare il problema.
Per aprire un p ro c e d i m e n t o o c c o r re l’esposto di uno dei magistrati di Palermo offesi

Marco Travaglio e Ingroia- Servizio Pubblico – 15/03/2012 Satarlanda.eu


Csm: Ciechi Sordi Muti (Marco Travaglio).

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Le toghe ignoranti (Marco Travaglio).

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