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La discutibile (e prevedibile) ascesa di De Gennaro

corelarticolotre G.C.- redazione-4 luglio 2013- attualità Era il 2001, e Gianni De Gennaro era il capo della polizia. Il 2001 è un anno ricordato, in Italia, in special modo per i “fatti del G8“, per quella Genova insanguinata e massacrata dai disordini, per il blitz alla scuola Diaz e per la caserma-lager di Bolzaneto. Il black out dei diritti civili in Italia.

In quel 2001, De Gennaro ricevette da Pippo Micalizio un rapporto riguardante il blitz alla Scuola Diaz. In esso, dopo aver effettuato un’ispezione interna, il dirigente generale della Polizia richiedeva che venissero presi provvedimenti disciplinari per gli agenti, o per lo meno per i funzionari più importanti, che parteciparono alla mattanza. La richiesta venne dimenticata in fretta. Piuttosto, quei dirigenti della polizia vennero trascinati in un processo e rinviati a giudizio: assolti in primo grado, vennero persino promossi a ruoli gerarchicamente più importanti, ai vertici delle forze dell’ordine e dei servizi. Anche ad altri fidati di De Gennaro toccò la stessa sorte. Luciano Pucci, per esempio, venne trasferito dal Viminale al Seicos, una società legata proprio a Finmeccanica.

De Gennaro divenne poi capo del Dipartimento che coordina i servizi segreti, con un procedimento che scavalcava di fatto le prassi istituzionali. I prefettizi del Viminale protestarono, ma nessun altro osò obiettare le decisioni del ministro Amato. A quel tempo, gli stessi dirigenti incriminati vennero condannati in appello. Nessun provvedimento, neanche allora, venne adottato nei loro confronti.

Tantomeno venne mai adottato un provvedimento contro De Gennaro, che, proprio riguardo i fatti di Genova, finì nella bufera per “induzione alla falsa testimonianza”. Almeno secondo i pm che, nel suo incontrare l’ex questore di Genova Francesco Colucci, per “trovare la consonanza per l’accertamento della verità”, hanno riconosciuto i presupposti atti a convincere l’uomo a mentire. Tanto più che, sebbene De Gennaro sia stato assolto in primo grado e in Cassazione (ma non in appello), Colucci è ancora imputato per falsa testimonianza.

De Gennaro divenne poi sottosegretario alla presidenza del Consiglio.Nel frattempo, i suoi fidati Gratteri, Caldarozzi, Luperi, assieme ad altri, vennero condannati in via definitiva per gli abusi commessi a Genova. Sospesi per cinque anni dai pubblici uffici, tacciati dall’opinione pubblica internazionale, poterono comunque consolarsi con le parole del loro guru, De Gennaro, il quale commentò la sentenza di Cassazione sottolineando il “valore personale” degli stessi, i quali “tanto hanno contribuito ai successi dello stato democratico”.

Nel frattempo De Gennaro si vide anche ricoprire del ruolo plenipotenziaro a Napoli, con il compito di risolvere, con il contributo dell’esercito, l’emergenza dei rifiuti. Insomma, poteva vantare nelle proprie disponibiltà operative, come denuncia anche Malabarba su Globalist, “le istanze militari del Comando Sud dell’esercito italiano e delle omologhe istanze Nato, nel quadro dell’emergenza”.

E poi, ancora. Nel 2004 cosituì, al Viminale, il Casa, il Comitato analisi strategica antiterrorismo. Affidato alla polizia di stato, era formato sia da capi dei servizi sia da capi delle armi della sicurezza interna. E, se il Casa non venne mai reso operativo, costituì comunque la premessa per istituire il Dis, impegnato nel coordinamento dell’Intelligence, presieduto proprio da De Gennaro che, così, diveniva controllore unico di tutti i servizi e di tutte le armi.

In tutto ciò, è impossibile non notare come Finmeccanica, negli anni, si sia trasformata nella fornitrice unica per la sicurezza nazionale, anche nel campo delle intercettazioni -la cui più potente strumentazione è stata costituita proprio dallo stesso Pucci divenuto amministratore delegato di Seicos- , nonchè gestore unica del sistema militare industriale d’Italia. E, questo, a De Gennaro non poteva essere sfuggito. Controllare tutte le forze, ma senza avere le armi, non era sufficiente.

Per questo era prevedibile che, alla fine, ai vertici della Finmeccanica sarebbe giunto. Ci voleva solo tempo, ma ce l’avrebbe fatta, proprio grazie al suo disegno, alla sua ambizione e all’aiuto di Pucci, mandato “in avanscoperta”. Oggi il suo ruolo di presidente della potente holding è stato confermato e De Gennaro, è di fatto l’uomo che detiene il controllo di tutta la sicurezza nazionale.

“DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO” AL G8 CINQUE IMPUTATI VANNO IN CARCERE (Stefano Caselli).

“DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO” AL G8 CINQUE IMPUTATI VANNO IN CARCERE (Stefano Caselli)..

Diaz I 25 uomini dello Stato dietro quella macelleria messicana


Redazione del Fatto Quotidiano 6/07/2012 attualità
Ci sono Nicola Gratteri (a capo del Dipartimento Centrale Anticrimine della Polizia) e Giovanni Luperi ( c ap o
del reparto analisi dell’Aisi). E c’è anche Gilber to C a l d a ro z z i (numero uno del servizio centrale operativo). Ma tra le condanne definitive emesse ieri dalla Corte di Cassazione in merito all’i rr u z i o n e della polizia nella scuola Diaz di Genova nell’ultimo
giorno del G8 del 2001, non sono solo i nomi di una parte dei vertici della polizia quelli che compaiono. Tra i condannati in via definitiva non c’è solo quello che è diventato il simbolo del disastro delle nostre forze dell’ordine, l’ex dirigente del reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, che per anni ha dovuto convivere (e ancora dovrà farlo) con l’ombra della macelleria messicana di quella scuola
trasformata nei giorni del G8 in un ostello per attivisti, giornalisti e manifestanti. Alla fine quelli che dieci anni fa erano i funzionari sono finiti condannati per “falso in atto pubblico” assieme all’attuale capo della squadra mobile di Firenze Filippo Ferri (allora capo squadra mobile di La Spezia), a Fa b i o C i c c i m a rr a , all’epoca commissario capo di Napoli e oggi capo della Mobile de L’Aquila, a Nando

Decapitato il gruppo De Gennaro-Manganelli Rebus nuove nomine DOPO 11 ANNI FRANANO CARRIERE E PROMOZIONI


Fatto Quotidiano 6/07/2012 di Ferruccio Sansa attualità
Non hanno decapitato la polizia, scrivilo. Hanno decapitato la parte malata. Tanti poliziotti, la
maggioranza, oggi devono essere sollevati. Ma il terremoto non lo hanno provocato i magistrati. No, sono stati quei vertici della polizia, quei governi, tutti, che hanno promosso persone accusate di reati gravissimi. Il terremoto che oggi colpisce i vertici della polizia è colpa loro. Oggi si sfalda il gruppo dirigente vicino a Gianni De Gennaro e, purtroppo, anche al suo successore Antonio Manganelli, che non c’era in quei giorni di Genova, ma poi, sì, che c’era … eccome”. È un fiume in
piena l’alto dirigente della polizia che parla dietro la promessa di anonimato. Ma ieri sera i telefonini di migliaia di poliziotti erano impazziti. Lo si può capire, da oggi cambia tutto: la sentenza della Cassazione, come ha detto chiaramente il ministro Anna Maria Cancellieri, modifica equilibri di potere, blocca le carriere di personaggi lanciatissimi.
Il ruolo dello Sco Un nome su tutti: Francesco Gratteri, arrivato a essere capo della Direzione Centrale Anticrimine, che molti già vedevano pronto al grande salto ai vertici della polizia, al posto di Manganelli. Non andrà così. Certo, nessuno andrà in carce-re. Ma resta la pena che ai condannati forse faceva ancor più paura: l’interdizione dai pubblci uffici. In pratica che cosa succederà? I dirigenti dovrebberessere sospesi dal servizio. O chissà, magari si potrebbe tentare una via d’uscita sul filo del diritto: si potrebbe chiedere lsospensione della pena accessoria – l’interdizione, appunto – sostenendo che anch’essa rientri nell’indulto. Ma se anche la via da un punto di vista giudiziario si rivelasse praticabile, non sembrerebbe onorevole. Il ministro Cancellieri pare far intendere che non la avallerà. Gratteri che all’epoca dei fatti era direttore dello Servizio Centrale Operativo nel corso degli anni è volato fino alla guida della Direzione Centrale Anticrimine. Nonostante quell’ac cusa di falso aggravato che in appello gli era valsa una condanna a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione. Difficile pensare che possa restare al suo posto, a occuparsi dei grandi segreti dello Stato, Giovanni Luperi, anche lui condannato per falso aggravato. Luperi che dodici anni fa era vicedirettore dell’Ucigos e chha continuato come se nulla fosse la sua carriera fulminante fino a diventare capo-analista dell’Aisi (il servizio segreto inter no). Il terzetto dei condannati eccellenti si completa con Gilberto Caldarozzi, all’epoca vice-direttore dello Sco e oggi direttore del Servizio Centrale Operativo. Caldarozzi è stato condannato a 3 anni 8 mesi per falso aggravato e, anche lui, all’inter dizione dai pubblici uffici. “La grande responsabilità dei nostri vertici è stato proprio questa: aver premiato gli accusati. Di più, averli portati nei punti di massima responsabilità della polizia, così oggi il nostro corpo rischia un colpo tragico da questa condanna. Ma sarà uno shock salutare, che sana almeno in parte la ferita del G8 e rcostruisce il nostro rapporto con i cittadini”, sostiene ancorl’alto dirigente sentito a botta calda.
Gli inchini del Palazzo Dopo le violenze inaudite del 2001, nemmeno una parola di scuse è mai arrivata alle vittime. E intanto a tutti i livelli i protagonisti delle inchieste sono andati avanti. Fino a ieri sera. Gente cui venivano appuntate stellette, investigatori che maneggiavano le inchieste più delicate del nostro Paese. Prendete Filippo Ferri, figlio di
Tu t t o il “sistema” sotto choc La partita dei r i s a rc i m e n t i : in ballo circa 6 milioni
Enrico (l’ex ministro socialdemocratico) e fratello di Cosimo Ferri, magistrato in massima ascesa (è leader della corrente di centrodestra Magistratura Indipendente), insomma una famiglia sulla cresta dell’onda. Flippo da quei giorni terribili di Genova è sempre stato promosso e oggi dirige la squadra mobile di Firenze. Ieri è stato condannato in via definitiva a tranni e otto mesi di reclusione per falso aggravato nonché all’interdizione dai pubblici uffici (assolto in primo grado e poi prescritto per arresto arbitrario). Fabio Ciccimarra da commissario a Napoli è diventato capo della squadra mobile dell’Aquila, una città delicatissima per la tragedia del sisma e per le inchieste che stanno maturando sulla ricostruzione e le infiltrazioni mafiose. Condannato anche Spartaco Mortola chdalla Digos di Genova è diventato capo della Polfer di Torino (3 anni e 8 mesi). E condannato, val la pena ricordarlo, anche Vincenzo Canterini, non più in servizio, ma all’epoca dei fatti comandante del VII nucleo mobile. Sembravano tutti predestinati a raggiungere i vertici della polizia. Una carriera avallatatacitamente accettata da tuttigoverni e i ministri che si sono succeduti in questi anni al Viminale: Claudio Scajola (Berlusconi II), Giuseppe Pisanu (Berlusconi II e III), Giuliano Amato (Prodi II) e Roberto Maroni (Berlusconi IV). Ma adesso si preparano giorni difficili. E non soltanto per la condanna penale. C’è in ballo il risarcimento milionario alle vittime: c’è chparla di circa sei milioni. “Ades so ci sono dei nomi, dei condannati – conclude l’alto dirgente – e dovrebbero essere loro a pagare”.-

Diaz, perché è importante evitare la prescrizione (Andrea Ranieri).

Diaz, perché è importante evitare la prescrizione (Andrea Ranieri)..

‘Diaz’, sul grande schermo i fatti del G8 di Genova.

'Diaz', sul grande schermo i fatti del G8 di Genova..

“Diaz” nelle sale, la Polizia chiede il silenzioUNA CIRCOLARE DEL DIPARTIMENTO RICORDA CHE INTERVISTE E PARTECIPAZIONI DEVONO ESSERE “C O N C O R D AT E ”


i Silvia D’Onghia e Malcom Pagani
La Polizia si incazza. Non solo nelle tragicomiche visio-ni fantozziane inflitte dagli impiegati ribelli al professor Guidobaldo Maria Riccardelli, teorico di Dreyer e cultore di Ejzenštejn. Ma nella realtà di
M A Z Z AT E Aun cinema tornato improvvisamente a interessarsi della verità storica. La circolare è del 15 marzo e, sulla carta intestata del Dipartimento Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, compaiono una quindicina di destinatari. Dalla Dia alle risorse umane, passando per la Stradale, l’antidroga e i Questori sparsi sui trecentomila chilometri di ter-itorio nazionale. I grandi capi avvertono tutti. Di film incentrati su una Polizia lontana dagli apologetici stereotipi televisivi, è meglio non parlare.
IL LINGUAGGIO è burocratico- ma come in una vecchia canzone il mattinale, quando vuole, si fa capire benissimo: “In concomitanza con la proiezione di numerose pellicole cinematografiche che affrontano la ricostruzione di eventi relativi ad attività di Polizia in situazioni ordinarie e straordina-ie, si ribadisce che qualsiasi intervista, partecipazione a convegni o dibattiti, va autorizzata da questo dipartimento”. Segue ulteriore postilla volta a recintare “ogni richiesta in tal senso” e così, il rischio di scorgere imbarazzo o veder volare dichiarazioni inopportune è preventivamente scongiurato. Se dal Dipartimento fanno sapere che la stretta dialettica è figlia delle molte proiezioni di “Aca b” (con annesso dibattito) fiorite nelle ultime settimane e non autorizzate, il sospetto (fortissimo) è che l’editto riguardi un altro film. “Diaz” di Daniele Vicari. Due ore secche per stile e narrazione che con rigore, attenendosi agli atti giudiziari e alle testimonianze dei presenti mette in scena il massacro avvenuto nella scuola genovese nel luglio del 2001 e i successivi orrori di Bolzaneto. Fino ad ora non ci aveva provato nessuno. E su Vicari e sulla sua impresa, par di capire, è meglio cali l’indifferenza. Pur lontani dal controllo statale dei funzionari di Ps sulla produzione cinematografica come nel Ventennio, è difficile negare che alle divise “Diaz” dia fastidio e provochi irritazione. Domenico Procacci di Fandango non ha trovato nessuno (Rai, Medusa, Telecom) che volesse affiancarlo nel progetto. Così ha cercato altrove (Romania, Francia) e messo il resto in proprio. Sette milioni di euro per raccontare – copyright Amnesty – “la più grave sospensione dei diritti in un Paese democratico dai tempi della Seconda Guerra Mondiale”.
OSSERVANDO le immagini di “Diaz”, (premiato dal pubblico al Festival di Berlino) e i tutori dell’ordine trasformati in hooligans, si comprendono senza fatica gli imbarazzi della Polizia sul tema. Una violenza bestiale, senza ragioni o conseguenze per i protagonisti degli eccessi. Con il processo a forte rischio prescrizione e i comandanti in capo di quella notte ligure (pur condannati per falso) promossi di grado e funzione, meglio tacere che ricordare. All’epoca Manganelli non volle leggere il copione, ora il Dipartimento silenzia l’uscita. Per la Polizia di domani, a volte, uno slogan non basta.

Quella “macelleria” che cambiò la polizia DIAZ, LE PAROLE CHOC DEL QUESTORE FOURNIER

dal Fatto Quotidiano 1/03/2012 Autore: Silvia D’Onghia e Malcom Pagani

ALTA TENSIONE
sembrava una macelleria messicana” disse in tribunale Michelangelo Fournier ai giudici genovesi.
Il vicecapo del VII nucleo del reparto mobile di Roma in servizio effettivo alla Diaz. L’enigma vivente di una lunga notte iniziata il 22 luglio 2001 e non ancora terminata. Né santo né eroe, ma l’unico individuo in divisa che entrò in relazione con le vittime di un assalto brutale, si tolse il casco, allontanò spintonando aguzzini con la pettorina: “Basta, basta” e temendo che la tedesca Melanie Jonasch fosse morta: “Io sono rimasto terrorizzato, basito quando ho trovato la ragazza con la testa aper ta” interruppe il massacro. Una figura complessa che, fotografata nelle sue contraddizioni e senza beatificazioni, il regista Daniele Vicari traspone nel film Diaz con fedele aderenza alla dialettica esposta da Fournier in un’aula giudiziar ia.
FOURNIER, l’unico poliziotto in grado non promosso sul campo per la mattanza di via Cesare Battisti, parlò di “macelleria messicana” in due distinte occasioni. Deposizioni sofferte, in bilico tra verità e senso della comunità da preservare: “Sono nato in una famiglia di poliziotti, non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave da parte dei miei colleghi”. L’ultima volta, nel giugno 2007, ammise di non aver avuto la forza di dire tutto ciò che sapeva “per spirito di appartenenza”. Michelangelo Fournier, l’uomo d’ordine con il cuore a destra che divideva le ricreazioni scolastiche con l’ex parlamentare verde Paolo Cento. Il “pentito” come semplicisticamente dissero in molti. Il dirigente detestato da un pezzo consistente di movimento secondo il quale non si decise a confessare sulla spinta dell’indignazione, ma solo perché riconosciuto da alcune vittime dell’assalto alla Diaz. Fournier, il funzionario avversato dai quadri che videro nella sua opposizione a Canterini, un’eversione inaccettabile per tempi, modi e forma. Nella pellicola prodotta da Fandango si vede Claudio Santamaria
(che lo interpreta) con la maglietta della Folgore, mentre all’alba delle dieci di sera (circa un’ora prima dell’assalto alla Diaz) tenta di consumare in compagnia di un paio di colleghi un pasto nel ristorante improvvisato per le Forze dell’ordine in zona Fiera. Viene avvicinato da Vincenzo Canterini. I due sono diversissimi per carattere e inclinazione. Entrambi stravolti. Svegli da ore. Davanti ai Pm Zucca e Cardona, il racconto di Fournier è una lama: “Il comandante Canterini poi venne da me e disse: ‘C’è la necessità di raggruppare immediatamente gli uomini, è stata individuata una struttura presso la quale sembra abbiano trovato ricovero buona parte degli Anarco Insur rezionalisti’”. Le stesse frasi
Nel film di Vicari gli eccessi e le violenze degli agenti al G8 di Genova nel 2001 che fanno dire: mai più
del film. Una menzogna. Troppi “s e m b ra ”. Un’unica conseguenza. Oltre 90 feriti. Due tentati omicidi. Fratture multiple. I reparti di Canterini e Fournier, seguendo strade diverse, arrivano alla scuola Diaz. Il secondo giunge quando le operazioni di sfondamento del cancello sono in corsa, ma è tra i primi a entrare. Sale le scale, forse sferra qualche colpo (c’è concitazione, molti testi-
Sangue di Stato
Una scena del film “Diaz” di Daniele Vicari che testimonia l’irruzione nella scuola e le violenze della polizia ai danni dei manifestanti inermi. In basso, M i ch e l an ge l o Fournier (FOTO ANSA)
moni glielo imputano e Vicari, in ogni caso, non opta per il manicheismo e lo mostra) poi arriva al primo piano. Lì si ferma. “Ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra (…)”. Fournier vede la Jonasch, chiede aiuto: “C’e ra n o dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze”. Così nella realtà ricordata da Fournier. Così nella finzione sinistramente reale riproposta da Vicari. Fournier domanda scusa all’amica della Jonasch, Jennette Dreyer.
UNA REAZIONE incongrua, spiegabile solo con un cambio di prospettiva definitivo, che è quello che sembra aver colpito, forse anche oltre le sue volontà, il Fournier del dopo G8. Non lo stesso uomo che sapeva dirigere l’o rd i n e pubblico allo stadio con il dialogo e la fermezza. Ma un altro da sé. Nella terra di mezzo tra l’essere poliziotto o cittadino. Non più innocente comunque, dopo aver visto e partecipato agli interni della Diaz. Vicari lo inquadra mentre esce dalla scuola e si avvicina a Canterini. Il comandante gli ordina di sistemare i “pr igionier i” sui blindati. Fournier si ribella. L’altro ribadisce l’ordine. I due si perdono di vista. Fournier va brevemente a Bolzaneto. Poi va altrove. Cerca di allontanarsi da una storia che comunque lo inseguirà per tutta l’esistenza. Quando il pm gli chiede dei Tonfa, i manganelli che hanno mandato in ospedale decine di ragazzi, Fournier sembra il marziano di Flaiano. Afferma che “il Tonfa è una cosa più seria, una cosa più complicata” e davanti alle domande del pubblico ministero si spiega meglio: “È uno sfollagente che non può essere utilizzato con la leggerezza con la quale si utilizza quello ordinario… può produrre grossi danni… i colpi in testa possono essere mortali con una buona percentuale di possibilità… è una follia perché si può ammazzare”. Nel film Diaz questo passaggio non c’è, perché le immagini descrivono quella pazzia me