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Ma l’Iva resta al 22%: “È già legge

taxDa La Repubblica del 03/10/2013. Roberto Petrini attualità

Il ministro Saccomanni: “Non ci sarà un nuovo decreto”.

ROMA— Quello che è fatto è fatto. Sull’aumento dell’Iva non si torna indietro. Appena fugate le nubi sulla tenuta del governo, il ministro per l’Economia Saccomanni, ha cancellato ogni dubbio su un eventuale recupero del provvedimento anti-Iva: «Non c’è nessun decreto», ha annunciato. Ed ha spiegato: l’imposta «è già legge: è il decreto del 2011 che portava l’Iva a questo livello. Non c’è niente da fare». Un riferimento al provvedimento Berlusconi-Tremonti dell’estate di tre anni fa che prevedeva un aumento del-l’Iva nel caso non fossero stati praticati tagli al Welfare e alle agevolazioni fiscali. Provvedimento, confermato dal governo Monti a fine 2011 e sopravvissuto, tra rinvii e modifiche, fino ad oggi. Compreso un vero e proprio aumento dell’Iva, il 17 settembre del 2011 dal 20 al 21 per cento, ad opera del governo di centrodestra.
La telenovela dell’Iva sembra dunque accantonata definitivamente, dopo il rinvio nel drammatico consiglio dei ministri di venerdì scorso. Sul piano dei conti pubblici si elimina una «mina» dal costo di 1 miliardo per quest’anno ed esce di scena anche il rischio di ricorrere a coperture peggiori del male come l’aumento della benzina e l’aumento degli acconti fiscali di fine anno.
Restano le proteste delle organizzazioni dei commercianti e degli artigiani che, con tutta probabilità, visto il calo dei consumi, non potranno scaricare interamente l’Iva sui prezzi e dovranno ridurre i margini. Operazione potrà riuscire a colossi come l’Ikea, che ha già annunciato che non ritoccherà i prezzi, ma complicata per la piccola distribuzione. Sull’impatto dell’aumento i toni degli specialisti sono cauti: «Avrà qualche effetto, ma non dirompente », ha detto l’economista Gross Pietro. Lo stesso Saccomanni, in una intervista al «Sole 24 Ore» di domenica scorsa aveva invitato «a non enfatizzare un impatto che poi è molto limitato».
«Adesso il governo abbassi l’Iva », ha chiesto ieri la Cgia di Mestre. Fa sentire debolmente la propria voce anche il Pdl: «Subito un decreto», chiede il sottosegretario Micaela Biancofiore. Ma Letta, nel suo discorso al Senato, non ha affrontato il tema, limitandosi a ribadire che ci sarà solo una «revisione completa delle aliquote » con l’obiettivo, presumibile, di mitigare l’impatto nel 2014.
Si riapre ora la partita dei conti pubblici: al termine del 15 ottobre, indicato per il varo della legge di Stabilità, si arriverà, come ha detto Letta «con il fiatone per il tempo perso» e il piatto più forte sarà il cuneo fiscale. Il menù non cambia neppure per la manovrina, rinviata la scorsa settimana, almeno per il rientro al 3 per cento del deficit, mentre per la seconda rata Imu la vicenda potrebbe riaprirsi: si «conferma la rotta» ha osservato Letta. Parte invece la spending review: il premier ha confermato che sarà l’italiano dell’Fmi Carlo Cottarelli a guidarla.

Computer, vestiti, carburanti da oggi scatta l’aumento dell’Iva

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Da La Repubblica del 01/10/2013 ROBERTO PETRINI attualità
Un costo tra i 200 e i 300 euro annui a famiglia.

ROMA— Cartellini dei prezzi alla prova dell’aumento Iva che scatta da oggi. Il rincaro, inevitabile dopo l’apertura della crisi politica, riguarderà l’aliquota più alta che passa dal 21 al 22 per cento. Nel paniere radio, computer, vino, birra, tv e, soprattutto, benzina (da oggi più 1,5 centesimi al litro e 1,4 per il gasolio). Nella lista dei beni soggetti a rincaro anche scarpe, mobili, giocattoli, detersivi e parrucchieri. Dovrebbero restare al riparo dall’aumento i beni di prima necessità, come pane, carne, pesce e latte, la cui aliquota ridotta non è soggetta all’aumento: tuttavia potrebbero subire il riflesso del rincaro dei prezzi del trasporto.
Secondo le associazioni dei consumatori le ricadute per le famiglie andranno dai 207 ai 349 euro l’anno. Per la Confcommercio l’incremento dell’Iva andrà a incidere negativamente sulle spese natalizie e, in una situazione in cui l’inflazione è sotto controllo, determinerà un aumento dei prezzi tra ottobre e novembre dello 0,4 per cento.
Il Codacons stima una stangata per le famiglie fino a 349 euro l’anno e un calo dei consumi del 3 per cento su base annua. Secondo Adusbef e Federconsumatori, la stangata andrà dai 207 ai 260 euro l’anno (62 euro solo per l’ultimo trimestre ottobre- dicembre). Alcuni grandi gruppi, come hanno fatto in un comunicato l’Ikea e la Esselunga, hanno promesso che assorbiranno l’aumento dell’imposta senza effetti sui prezzi.
L’aliquota che passa al 22 per cento è quella ordinaria che si applica ai beni e i servizi che non rientrano nell’aliquota ridotta al 10 o in quella super ridotta al 4 per cento riservata a pane fresco, burro, latte, frutta e ortaggi e altri alimenti di prima necessità. Quello che scatterà oggi è il secondo rialzo di un punto nel giro di due anni: l’aliquota era già salita dal 20 al 21 per cento dal 17 settembre 2011 in pieno governo Berlusconi. Gli effetti sull’inflazione sono stati già calcolati dalla «nota di aggiornamento » al Def: passerà da una media dell’1,5 per quest’anno al 2,1 per cento del prossimo. Si tratterà tuttavia di uno «scalino», perché dal 2015 l’inflazione ricomincerà a scendere.
Saranno soggetti ad aumenti vino, birra, succhi di frutta e alimenti pregiati come i tartufi. L’Iva aumenterà anche per le automobili, gli accessori auto, i pezzi
di ricambio. E costerà di più anche la manutenzione e la riparazione dell’auto. Costeranno di più abbigliamento, calzature, pelletteria, biancheria per la casa, frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie e piccoli elettrodomestici,
detersivi, televisori, radio, hi-fi, computer e prodotti di cancelleria. La stretta riguarderà poi estetista, barbiere e parrucchiere, lavanderia e tintoria, gioielli e bigiotteria.
Secondo la Cgia di Mestre fra le voci che subiranno i rincari maggiori ci sono i trasporti, a partire dai carburanti, con un aggravi medi di 39 euro. Altri 20 euro aggiuntivi graveranno sulla spesa per l’abbigliamento e le calzature e altri 17 euro per l’acquisto della mobilia e degli elettrodomestici. Per l’associazione l’aumento colpirà di più le famiglie numerose e più povere. Per i single l’aggravio potrà arrivare fino a 99 euro e per un lavoratore dipendente con moglie e figli a carico fino a 120 euro.

Il Pil peggiora, cercasi 1,6 miliardi ma con Imu, Iva e Cig ne servirebbero sei

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Da La Repubblica del 20/09/2013. ROBERTO PETRINI attualità

La crescita a meno 1,7%, deficit al 3,1. Il Tesoro:“Rispetteremo il tetto”.

NON c’è molto tempo per risolvere il rebus dei conti pubblici. Dopo mesi di galleggiamento, segnati dalle pressioni del Pdl che ha posto ossessivamente la questione delle tasse e il Pd che non ha potuto far altro che preoccuparsi della cassa integrazione, degli esodati, della scuola e dei precari, ora i nodi vengono al pettine. Il Documento di economia e finanza che il consiglio dei ministri esaminerà oggi (il primo del governo Letta dopo quello lasciato in eredità il 10 aprile del 2013 da Monti-Grilli) certificherà che siamo al 3 per cento del deficit-Pil e forse un po’ più in là, uno 0,1 per cento pari a 1,6 miliardi: contro il 2,9 per cento stimato fino ad oggi. Certo è che molte delle coperture dei provvedimenti presi negli ultimi mesi ballano, che servono 4-5 miliardi per le misure promesse a fine agosto per Imu e Iva e che la correzione, sebbene fatta con «aggiustamenti» di bilancio, come assicura il Tesoro, e non con una vera e propria manovra, ci sarà. Senza contare che la recessione continua a «mordere» in Italia come non mai: secondo le anticipazioni le stime del Pil di quest’anno verranno riviste al ribasso all’1,7 per cento contro una contrazione stimata nell’aprile scorso dell’1,3 per cento.
La situazione, come osservano alcuni parlamentari del Pd, è tale che bisogna fare delle scelte. La prima partita è quella dell’Imu: l’intervento fatto a fine agosto, costato 2,3 miliardi, si è limitato ad eliminare la prima rata sulla prima casa, dunque il 50 per cento della tassa. Per il resto c’è solo un impegno politico: togliere entro il 16 dicembre la parte restante. Anche perché nel frattempo i Comuni hanno aumentato le aliquote e il conto potrà essere più salato: secondo un conteggio della Uil servizio politiche territoriali su 2.500 municipi che hanno modificato la tassa, un terzo ha messo in atto rincari. L’ancoraggio del gettito dell’Imu, sicuro, piaceva all’Europa che da sempre chiede di trasferire il peso dai redditi ai patrimoni e alle cose. E non c’è da meravigliarsi che Olli Rehn abbia alzato repentinamente i toni.
Del resto alcune aperture di credito da Bruxelles negli ultimi mesi sono già arrivate: è stato possibile pagare uno 0,5 per cento di Pil di crediti alle aziende da parte della pubblica amministrazione caricandolo sul deficit e portandolo all’attuale 2,9 per cento. Una operazione che ha avuto l’ok dell’Europa. Così come l’incidenza negativa della congiuntura sui conti è stata considerata senza troppi problemi: il nostro «output gap», cioè quanto perde il Pil per colpa della recessione, è molto ampio e consente di avere un consistente sconto sul pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto della crisi economica.
Ma se l’Italia mostra leggerezza su coperture, spese e stabilità politica, Bruxelles alza la barriera e pretende un rispetto rigoroso del 3 per cento nominale, ovvero di una soglia che non tiene conto della congiuntura ma si limita alla
ragionieristica del bilancio.
E’ molto probabile dunque che la partita debba essere tutta rigiocata. Non è facile infatti in tre mesi mettere in atto una spending review sostanziosa per trovare i 6 miliardi necessari (tra Imu, Iva, Cig, missioni e correzione del deficit), e le misure per 10,5 miliari proposte da Brunetta del Pdl sembrano a molti osservatori di carattere contabile e una tantum. Dunque la partita dovrà ripartire dal duello tra Imu e Iva: colpire i proprietari o colpire i consumatori? Per uscire dal dilemma si potrebbe trovare un compromesso sul quale si starebbe lavorando nelle ultime ore: chiedere ai proprietari delle case di maggior pregio di entrare nella schiera di chi deve pagare (risparmiando almeno un paio di miliardi). Dall’altra parte lasciar scattare l’aumento dell’Iva ma sterilizzandolo riducendo alcune le aliquote di alcuni prodotti di largo consumo (come il gas da riscaldamento oggi al 21 per cento) portandole al 10 come l’energia. Al tempo stesso si potrebbero rialzare altre aliquote oggi al 4 per cento, come le concessioni televisive o molti altri sconti attualmente non giustificati. Un’ultima manovra disperata per attraversare un passaggio assai stretto.

“La vera pressione fiscale arriva al 53%”

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Da La Repubblica del 20/06/2013. roberto petrini attualità
La Corte dei Conti accusa: politica anti-evasione ondivaga e contraddittoria.
Le misure.
ROMA— La Corte dei Conti punta l’indice contro l’evasione fiscale e, mentre la maggioranza si divide sul doppio nodo estivo dell’aumento di Iva e Imu, richiama l’attenzione sulla straordinaria pressione fiscale che pesa sugli italiani. Per il presidente dei magistrati contabili Luigi Giampaolino, che ha parlato durante una audizione alla Camera, la questione dell’evasione «continua ad essere per il nostro paese un problema molto grave» e costituisce una delle cause dello «squilibrio dei conti pubblici, del malessere sociale e delle difficoltà del sistema produttivo».
L’analisi della Corte dei Conti ufficializza il dato della «pressione fiscale effettiva », quella che sostanzialmente pesa sugli italiani onesti che pagano regolarmente le tasse: è salita al 53 per cento, molti punti in più rispetto alla pressione fiscale normalmente registrata dai documenti del governo che nel 2013 è comunque del 45,3. La pressione «effettiva » prende in considerazione un denominatore, cioè un Pil, più piccolo rispetto a quello ufficiale (che viene invece corretto e «gonfiato» considerando anche l’economia sommersa): ne deriva una pressione fiscale più alta, frutto del rapporto tra le tasse pagate (numeratore) e un Pil più piccolo (denominatore) al quale viene sottratta l’economia sommersa. In pratica il fisco porta via metà del reddito a coloro che pagano le tasse anche per chi non le paga.
Il documento della Corte, che individua un vero e proprio «circuito dell’evasione », rilancia cifre impressionanti: solo di Iva e Irap mancano all’appello ogni anno 50 miliardi; l’economia «nera », sulla quale non si pagano naturalmente le tasse, è così ampia nel nostro paese che siamo secondi, nelle classifiche internazionali, solo alla Grecia.
A fronte di questa situazione – e qui il monito di Giampaolino si fa assai severo – la condotta dell’Italia nella lotta all’evasione fiscale è stata «ondivaga e contraddittoria». Basti pensare che le limitazioni al pagamento in contanti, considerate un antidoto efficace al contrasto del «nero», sono cambiate dal 2007 al 2012 ben cinque volte e sono tornate al tetto di 1.000 euro dopo essere arrivate, nel 2008, a 12.500 euro. Secondo la Corte queste divisioni tra le forze politiche che si sono succedute al governo del paese non dovrebbero esistere su un tema che dovrebbe invece costituire un elemento di «piena condivisione e concordanza».
La Corte mette alla sbarra l’intero sistema di contrasto all’evasione basato in Italia sostanzialmente su un controllo ex post a base di accertamenti e obblighi formali che ha trascurato la «tax compliance», cioè l’adempimento spontaneo. Di fatto i maggiori protagonisti dell’evasione sono circa 5 milioni, i cosiddetti lavoratori indipendenti: questi sono soggetti a 200 mila accertamenti all’anno e ciò significa, rileva la magistratura contabile, che il «pericolo » di subire un controllo approfondito è di uno ogni venti anni. Dunque vale la pena rischiare.