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Province, la maggioranza balla al Senato. Ddl Delrio: finta abolizione e rischio caos

La riforma parla di eliminazione degli enti, ma porterà a conflitti amministrativi e altri costi. Maggioranza due volte sotto in commissione, no a pregiudiziale di costituzionalità M5s per 4 voti
Fonte Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 marzo 2014 attualità
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E a criticare la riforma è perfino l’Unione delle Province italiane: “La vera riforma era quella che prevedeva l’accorpamento delle Province piccole e degli uffici periferici dello Stato, con un vero dimezzamento e risparmi concreti – dice il presidente dell’Upi Antonio Saitta – Ma non si è avuta né la forza politica né il coraggio per opporsi alle alte burocrazie dello Stato, e si è scelto di accontentarsi di una piccola riforma, banale, confusa, superficiale, che non produce risparmi ma anzi porta all’aumento della spesa pubblica. Una riforma antieruopea, del tutto in controtendenza con quanto accade nel resto dei Paesi Ue. Questo disegno di legge che si sta approvando in Senato, non solo non abolisce le Province e non produce risparmi, come ha chiarito la Corte dei Conti, ma crea una grandissima confusione tra chi dovrà assicurare ai cittadini i servizi essenziali”.

Chi ostenta serenità è il relatore Francesco Russo (Pd): “Aldilà di alcune posizioni divergenti”, afferma, “in commissione si è registrata un’ottima collaborazione, senza la quale non saremmo arrivati a questo punto”. Il voto finale dell’aula sul testo, che comunque dovrà tornare alla Camera, è previsto per domani pomeriggio. Tra le modifiche approvate in commissione, c’è anche un subemendamento del relatore Russo che modifica le regole per l’incompatibilità della carica da parlamentare con qualsiasi altra carica pubblica elettiva, permettendo ai parlamentari di continuare a ricoprire cariche nei Comuni inferiori a 15mila abitanti (anziché a 5mila, come prevede la legge attuale).
La maggioranza di Renzi al Senato traballa. Polemiche per assenze Forza Italia
E’ polemica aperta nel gruppo di Forza Italia del Senato. Motivo: l’assenza di almeno 17 parlamentari dall’Aula al momento del voto sulla pregiudiziale di costituzionalità presentata dal m5S contro il DDl Delrio sulle province. Un’assenza che ha impedito di bocciare il provvedimento “una volta per tutte”. Il capogruppo Paolo Romani, subito dopo il voto, ha scritto ai suoi senatori un sms dicendo “che oggi si è persa davvero una grande occasione”. “Se solo fossimo stati tutti presenti in Aula – spiega uno dei senatori forzisti che invece nell’emiciclo c’era – del ddl Delrio non ne parlerebbe più nessuno, sarebbe stato cancellato. E invece prima si prendono l’incarico nell’ufficio di presidenza e poi non si presentano neanche in Aula per essere conseguenti con quelle che sono le linee politiche del partito, per votare cioè contro provvedimenti come questo”. All’appello, si conferma nel gruppo di FI, mancavano, tra gli altri, Denis Verdini, Maria Rosaria Rossi, Sandro Bondi e Manuela Repetti. Decisiva anche la spaccatura dentro al gruppo parlamentare “Popolari per l’Italia. Per la bocciatura della pregiudiziale, appoggiata anche da Sel, sono risultati decisivi i voti di Pier Ferdinando Casini e Maria Paola Merloni. A favore della pregiudiziale, approvata con soli quattro voti di scarto, a quanto si apprende, avrebbero votato invece altri tre senatori di Pi: Andrea Olivero, Salvatore Di Maggio e Lucio Romano. I tabulati relativi alla votazione non sono consultabili.